Claudio Cugliandro: Anche i giochi hanno un’anima
Ho deciso di sfruttare la finestra offertami dal dibattito sul gioco dell’anno per parlare di Book of Travels, ultima fatica di Might & Delight, studio svedese che nel tempo ha dimostrato non solo di avere un’idea forte su cosa sia il videogioco, ma di volerla anche sfidare. Non voglio però citare Book of Travels per la sua teorica «superiorità» rispetto ad altri giochi pubblicati quest’anno (per quanto me lo stia ancora gustando con grande trasposto emotivo), e neanche per la sua ipotetica «perfezione» ludica. Voglio invece parlarne nel tentativo di cristallizzare almeno nella mia memoria la sua forma attuale. Che riguardi le grandi produzioni (Overwatch, Destiny, Evolve) o creazioni dall’investimento più contenuto(No man’s Sky, Absolver), se c’è una cosa che i giochi «a sviluppo continuo» hanno dimostrato è che uno dei problemi più grandi che si trovano da affrontare è quello della «community», spesso formata culturalmente da settore che educa al consumo di un prodotto, e non al dialogo con un oggetto comunicativo. Nel timore dunque che l’essenza stessa di Book of Travels si perda nelle «patch» future, figlie di richieste vocali che già oggi vogliono intervenire nel tessuto stesso dell’opera, io voglio rimarcare la povertà contenutistica del gioco Might & Delight, la sua estrema sporcizia tecnica, la sua pochezza quantitativa funzionale a esaltarne la ricchezza dell’anima. Un’anima che costituisce una ricompensa non progressiva ma emotiva, concessa (ma non garantita) da un viaggio che non ho alcuna voglia di finire.

Federico Ercole: Meravigliose mostruosità
Tales of Arise (Playstation, Xbox, pc): un’epopea monumentale dalla narrazione incessante e densissima accompagnata dalla partitura straordinaria di Motoi Sakuraba. Il viaggio unificatore e ribelle dello schiavo Alphen e i suoi indimenticabili compagni compone uno dei più potenti e profondi giochi di ruolo giapponesi della storia di questo genere.
Metroid Dread (Nintendo Switch): il ritorno alle due dimensioni della cacciatrice di taglie spaziale Samus Aran dopo sedici anni è un videogame angosciante e spaventoso quanto epico. Si tratta di un gioco ostico, talvolta punitivo, ma l’eventuale successo appaga ed esalta. Una lunga deriva per una fantascientifica ostilità.
Shin Megami Tensei V (Nintendo Switch): mostruosa e meravigliosa chimera post-apocalittica di demoni, angeli, divinità e miti di innumerevoli mitologie. Un gioco di ruolo giapponese smisurato.
Nier Replicant (Playstation, pc): il ritorno del capolavoro esistenzialista e trasgressivo, un tempo incompreso, di Yoko Taro.
Monster Hunter Rise (Nintendo Switch) : ancora a caccia di mostri, bestia-umana contro bestia, per sopravvivere.
Returnal (Playstation 5): spezzare le catene dell’eterno ritorno è opera ardua. Amato, sebbene mi abbia infine sconfitto.
Psychonauts 2 (Xbox, pc): un giocoso viaggio allucinante nella psiche.
Baldo The Guardian Howls (Playstation, Xbox, Switch, PC, iOS): un «antico» e meraviglioso gioiello dell’avventura.
Little Nightmares 2 (Playstation, Xbox, pc): grandi incubi, altro che piccoli.
Resident Evil Village (Playstation, Xbox, pc) : uno spassoso tunnel dell’orrore in prima persona.
Ender Lilies (Switch, Playstation, Xbox, pc : la luce della protagonista e la tenebra piovosa di un mondo afflitto.
Guardians of the Galaxy (Playstation, Xbox, pc): sembrava nulla invece è un gioco soprendente. Vagando per remoti pianeti ascoltando Iron Maiden o Billy Idol.
Tormented Souls (Playstation 5, pc) : sopravvivere all’orrore sanitario vecchio stile in vesti fioccose.

Francesco Mazzetta: Videogioco e cinema, interazioni per il futuro
Segnalo per il 2021 due realtà videoludiche che segneranno anche il futuro.
Il contrasto tra la «ricerca videoludica» che contrappone Village, l’ottavo episodio di Resident Evil, alla «ricerca delle radici» del reboot cinematografico Welcome to Raccoon City che spogliandosi di velleità artistiche e narrative torna alle radici della saga. Videogioco e cinema s’annusano l’un l’altro, come due cani che si girano attorno a vicenda, ciascuno cercando di impossessarsi del segreto dell’altro.
La denominazione Meta che comprende i social Facebook, Instagram e Whatsapp oltre all’ancora non sfruttato Oculus Rift. Si potrebbe obiettare che non si tratta in senso stretto di un videogioco, ma già all’epoca di Second Life profetizzavo che il vero «metaverso» (termine ripreso dal fondamentale Snow Crash di Neal Stephenson) sarebbe stato Facebook. Oggi Zuckerberg rinominando (e la potenza del nome è chiara fin dalla Genesi) la sua azienda rende chiaro che sempre più i social ad esso collegati sono una versione ribaltata di Pokemon Go: come quello proiettava personaggi immaginari nella vita di tutti i giorni dei giocatori, i social di Meta proiettano la vita reale nell’universo virtuale e solo quanto raggiunge (a pagamento e/o per capacità della star virtuale) sufficiente notorietà per invadere i feed altrui è reale nell’universo comunicativo condiviso. Meta-comunicativo, appunto.

Andrea Lanza: H.P. Lovecraft, l’eterno ritorno
Le case della follia (Asmodee Italia): un gioco in scatola che riesce nel non facile compito di trasporre il mondo della follia di Lovecraft nei board game. È terrorizzante, angoscioso e tremendamente divertente soprattutto se giocato con gli amici.
Diabolik (Pendragon Game Studio): spassoso, adrenalinico e fantasioso gioco da tavola che ci calerà nei panni del Re del Terrore in attesa di compiere uno spettacolare colpo. Ad aiutarci la bionda Eva Kant mentre l’eterno nemico Ginko, con la collaborazione dell’ispettrice Morrigan, cercherà di impedire il tutto.
Chernobylite (The Farm 51): l’incubo del disastro nucleare di Chernobyle in un horror rpg che mischia salti temporali con elementi crafting alla Fallout 4. Bello da vedere, a volte ostico nei combattimenti, è un buon gioco dai toni cupi e disperati, non dissimile come tematiche e impatto emotivo da This War of Mine.
Resident Evil: Village (Capcom): meno horror del precedente capitolo, ma enorme, maestoso e divertente con alcuni villains tra i meglio tratteggiati della saga. Per alcuni un capitolo di mezzo, ma ad avercene di capitoli di mezzo così splendidi.
Brivido (Grandi Giochi): il mitico gioco da tavola degli anni 80 torna in una nuova sfavillante veste sugli scaffali. Più di Stranger Things, più della One O One, più di Madonna che canta Like a prayer, questo è il modo più incredibile per tornare indietro nel tempo, bambini, per farci terrorizzare da un teschio fluorescente (qui sostituito da un fantasma) che cade da una rampa di scale.

Matteo Lupetti: Via dall’università: inizia la vita
No Longer Home è una storia interattiva semi-autobiografica che racconta il momento in cui, dopo la fine dell’università, due studenti d’arte devono separarsi e lasciare la casa che condividevano a South London. Molte delle soluzioni adottate dal videogioco (i richiami al realismo magico e la costruzione degli spazi, della narrazione e del sistema di dialogo) non possono non ricordare Kentucky Route Zero di Cardboard Computer e Annapurna Interactive. Nonostante questi aspetti derivativi No Longer Home è però un grande esempio di come dovrebbero essere inquadrate e narrate le esperienze personali, perché a differenza di tante opere simili allarga continuamente lo sguardo per contestualizzare le sue vicende all’interno di più ampie strutture sociali e politiche. Non è una generica storia su una gioventù disorientata di fronte al passaggio all’età adulta e sulla difficoltà di dire addio a luoghi e legami. No Longer Home è un’opera che parla di gentrificazione, con un chiaro riferimento al peso che i grandi eventi come le Olimpiadi hanno in questo processo, di leggi sull’immigrazione, di politiche abitative, di finanziamento delle arti, di una rivoluzione necessaria ma apparentemente inorganizzabile. E di come essere queer (i personaggi principali non si riconoscono nel binarismo di genere uomo/donna) si intersechi con tutti questi aspetti. No Longer Home di Humble Grove (Cel Davison e Hana Lee) e Fellow Traveller è disponibile per PC, Mac, Linux, Nintendo Switch e Xbox One.