Ieri sera è andato in scena l’evento rock dell’estate italiana 2019, o più probabilmente dell’intero anno. Lo dimostrano gli oltre 45mila presenti, giunti all’Ippodromo delle Cascine del capoluogo toscano per la prima data del festival Firenze Rocks e per l’unico concerto nella Penisola di due pezzi da novanta del firmamento musicale internazionale, gli Smashing Pumpkins e, soprattutto, gli attesissimi Tool.

SI COMINCIA nel pomeriggio, sotto un sole finalmente estivo, con The Fiend, ai quali sono seguiti i Badflower e gli Skindred, tutte band ancora poco conosciute da queste parti, per arrivare intorno alle 17.30 alla performance, tra luci e ombre, dei Dream Theater. Ma il pubblico si scalda davvero quando sul palco appaiono le figure gigantesche di tre pupazzi gonfiabili alquanto inquietanti – ci hanno ricordato il Pennywise di It – a fare da sfondo alla strumentazione dei Pumpkins: tre chitarre, basso, batteria e tre tastiere posizionate strategicamente in modo da poter essere suonate tutte insieme, anche se per un solo brano, oltre che dalla bella tastierista Katie Cole, anche dall’ormai fido chitarrista Jeff Schroeder e dal membro fondatore, rientrato da poco in formazione, il batterista Jimmy Chamberlin, che con l’altro membro storico, il chitarrista James Iha, che duetta spesso, anche a parole, col deus ex machina Billy Corgan, e con Jack Bates al basso completano la line-up.

A RENDERE ancor più cupa l’atmosfera ecco la silhouette, un po’ sovrappeso, di Corgan, avvolto in un lungo pastrano nero che, ci perdonerà, riporta alla mente l’Uncle Fester della Famiglia Addams. Ma a dispetto dell’apparenza visiva la musica della band regala belle emozioni al pubblico, specie quando va a ripescare dal vecchio repertorio (purtroppo il confronto con le cose più recenti non regge) e raggiunge l’apice con una versione bellissima, cantata all’unisono dalle decine di migliaia di ragazzi arrivati da tutta Italia e, molti, anche dall’estero, di Wish You Were Here dei Pink Floyd. Alle nove, dopo un’ora e mezzo di concerto, Corgan e soci lasciano la scena e partono i preparativi per quella dei Tool.

DICEVAMO dell’attesa che avvolge il loro ritorno, la band guidata dal carismatico vocalist James Maynard Keenan, tornava a esibirsi in Italia dopo ben tredici anni, gli stessi che li separano dalla loro ultima creazione discografica, 10,000 Days, e l’attesa è stata ripagata da un concerto di livello decisamente superiore. I quattro – con Keenan, che come suo costume sempre agisce sempre lontano dai riflettori, operano il chitarrista e grafico/curatore delle immagini create dal gruppo Adam Jones, e la ritmica potentissima e unica nello stile del bassista, l’inglese Justin Chancellor, e del batterista Danny Carey, uno che si è creato una “fan base” enorme grazie a performance incredibili – , aprono in perfetto orario sulla tabella di marcia, alle 21.45, ed è subito delirio con Ænema, brano del loro terzo album, omonimo, quello che li ha lanciati definitivamente grazie a un sound che, prendendo la base dal metal, si allarga a sonorità prog – le fratture e i tempi dispari tanto cari a Fripp e King Crimson -, psichedelia e perché no, jazz.

IL PUBBLICO supporta vocalmente – sembra in effetti esserci qualche problema con i settaggi del suono, almeno all’inizio – Maynard Keenan, cantando all’unisono il brano e anche i successivi, The Pot e la micidiale Parabola, per poi mettersi all’ascolto di Descending, uno dei brani – peraltro già in rete in varie versioni live su youtube – che faranno parte del nuovo disco, di cui non si conosce ancora il titolo ma solo la data di uscita, il 30 agosto, brano che stilisticamente non si discosta dal loro stile ma insieme a Invincible e a CCTrip, che arriverà subito dopo Schism con Carey che si sposta al synth, ci racconta di un ulteriore passo in avanti, con una spinta sull’acceleratore “acido” della psichedelia.

I giochi di luce della scenografia, dove scorrono i video angoscianti creati da Jones, sono il giusto corollario alla loro musica che sa graffiare ma che con i suoi colori multipli riesce ad appassionare anche chi non ha particolare dimestichezza con i suoni più duri. Il concerto va avanti senza pause, andando a pescare dal repertorio passato, da 10,000 Days (Jambi e Vicarious), da Undertow (Intolerance) e da Ænema con la tiratissima 46+2 (con Carey sugli scudi) e Stinkfist. Ed è sulle note di questo brano che dopo poco più di un’ora e venti minuti i Tool chiudono la loro performance, lasciando nei 45mila della Visarno Arena sì la delusione per un mancato bis ma anche la certezza di aver visto all’opera quello che a oggi è probabilmente il più grande gruppo rock esistente e altrettanto probabilmente il miglior live act in circolazione, certificato anche dalle parole di Billy Corgan: “Vi lasciamo allo show dei Tool, l’ho visto, è fantastico!”