Si possono avere le migliori intenzioni del mondo ma la realtà esige il suo pedaggio e alle prese con la realtà la maggioranza scricchiola ogni giorno di più. «Rinviare, rinviare, rinviare» è la parola d’ordine. Ma a volte rinviare non è possibile, e la Tav rischia di essere uno di quei casi. «Decideremo entro la settimana prossima», promette il ministro Toninelli. Ma fa capire che comunque i bandi partiranno: «In questo caso non mi preoccuperei perché sarebbe una ricognizione di sei mesi.

Si possono revocare senza penali». Non è una resa ma il necessario prologo della resa. Salvo miracoli, dopo le europee la Lega sarà ancora più forte, i 5S più deboli. Se faticano a resistere oggi ancor meno potranno puntare i piedi dopo il voto. Sempre che la Lega accetti di temporeggiare e non è detto perché il trofeo della Tav è necessario per le Regionali del Piemonte.

Conte fa sapere che «sta studiando» la faccenda. Ha chiesto a Ponti, il presidente della commissione che ha portato a termine l’analisi costi-benefici un supplemento d’analisi, probabilmente per chiarire i molti punti del documento contestati. Il testo è già pronto. Il premier potrà studiarlo nei prossimi giorni, poi dovrà sedersi al tavolo con Salvini, Di Maio e Toninelli e una decisione dovrebbe essere presa.

Ma il condizionale è d’obbligo perché l’apertura del ministro pentastellato sui bandi serve proprio a rimandare per evitare che il governatore del Piemonte Chiamparino convochi il referendum regionale consultivo proprio nello stesso giorno delle elezioni, come è deciso a fare se i bandi non partiranno entro l’11 marzo, ultima data utile per evitare che siano cancellati i 300 mln di finanziamento europeo. I partigiani della Tav, a partire da Confindustria, insistono però perché si prema sull’acceleratore mentre i 5S sembrano aver scelto la strategia del rallentamento, sperando che il reddito di cittadinanza restituisca loro consensi e quindi peso contrattuale, su tutti i fronti: dalla legittima difesa alla Tav all’autonomia.

Ma anche tra loro i nervi sono a fior di pelle. Il senatore grillino Airola si è lanciato ieri in un’offensiva davvero senza precedenti: «La Lega fa propaganda becera. Sulla Tav non ci sono spazi di trattativa, altrimenti io me ne vado e mi porto via pure il simbolo». È una clamorosa esagerazione ma riflette bene il clima interno ai 5 stelle.

Sull’autonomia la situazione non è messa meglio. I governatori Zaia e Fontana ma anche la ministra Stefani insistono per fare presto. Di Maio non solo giura che lui «non spaccherà il Paese» ma fissa una tabella di marcia modello tartaruga. Conte «riflette» me sia lui che il vicepremier leghista insistono sull’obbligo di «coinvolgere il Parlamento». Salvini ha interesse opposto: «Ho detto a Conte e Di Maio che entro la fine della settimana il dossier sarà pronto.

È giusto che il Parlamento dia il suo contributo ma il più velocemente possibile». Il vero nodo è proprio quel «contributo del Parlamento». Nel progetto del vicepremier e della ministra Stefani dovrebbe essere ridottissimo: un voto secco di ratifica, a maggioranza assoluta. Prendere o lasciare. Senza i tempi inevitabilmente lunghi di un vero iter parlamentare. Senza emendamenti e modifiche. Che una riforma destinata a incidere più di una revisione della Costituzione venga approvata riducendo il Parlamento al ruolo di passacarte può sembrare assurdo, ed effettivamente lo è.

Ma proprio a questo mira la Lega e alla fine è probabile che la spunterà per evitare sorprese in Parlamento. Tanto più che Zaia ha ripetuto ieri che, se non sarà convinto dal testo, non lo firmerà. I nodi da sciogliere non si fermano qui. Nel vertice di mercoledì il triumvirato ha deciso di procedere con il progetto di affidare al premier la decisionalità su una ventina di temi centralissimi, di fatto senza più passare per il Parlamento. La «riformetta« verrà varata già dal prossimo cdm, anche se spacchettando le deleghe e procedendo una per una.

La prima riguarderà lo sblocco dei lavori pubblici: significa rivedere radicalmente il codice degli appalti limitando ruolo e poteri dell’Anac e tra i soci di maggioranza la tensione in merito è già alta. Nessuna tensione invece sulla decisione di svuotare il ruolo del Parlamento. Su quella tra i governanti regna la massima concordia.