Il film che fa rivivere le rivolte di Danzica, in concorso a Nyon, «1970» di Tomasz Wolski, nato nel 1977 a Gdynia, cuore degli eventi, pone anche interrogativi sulla cadenza degli anniversari e su come si possa renderli contemporanei. A cinquant’anni dalla brutale repressione, il film fa rivivere quei cantieri navali, i binari di fronte al cancello numero due, le strade degli scontri, una intera popolazione. Con andamento imperterrito svela allo stesso tempo meccanismi della politica e del cinema per l’uso di materiali inediti di archivio e creatività feroce.
A percorrere oggi la strada panoramica che costeggia i cantieri navali la storia del passato remoto si presenta in forma museale, con in più la forte presenza del 1980 di Solidarnosc . I cantieri dismessi sono diventati il museo delle rivolte operaie e popolari, un percorso storico di materiali, manifesti, testimonianze e colpi sparati sui muri, conservati a testimonianza.

Danzica
Al cancello 2 dei cantieri navali di Danzica è stata tolta la scritta «IM.Lenin» nel nome di Lenin. Vi lavoravano ventimila operai, ora il soffitto è tappezzato dei loro caschi, c’è l’elenco con i 21 punti delle trattative di Solidarnosc, c’è il carro ponte guidato da Anna Walentynowicz l’operaia licenziata che diede il via alle proteste, c’è il furgone su cui Walesa teneva i suoi discorsi. Un percorso chiamato «Strade verso la libertà» segnato dalle date: Poznan 56, Danzica 70, Solidarnosc 80.
Dieci anni prima di Solidarnosc il 1970 è stata una data cruciale nella storia della Polonia per la mobilitazione e infine il decisivo cambiamenti al vertice, le dimissioni di Gomulka. Nel film di Wolski il ricordo della visita ai cantieri si anima con gli autentici protagonisti della storia iniziata quel nel dicembre 1970: vediamo i volti dei manifestanti, gli operai nelle officine in sciopero, a cui si aggiungono gli studenti (con ancora vivo il ricordo delle manifestazioni all’università di Varsavia nel ’68), le donne che sospingono i piccoli a salutare i papà in tuta attraverso le sbarre dei cancelli presidiati, le casalinghe per strada con le sporte vuote. La rivolta scoppiò infatti a Danzica per l’aumento dei prezzi (fino al 92 per cento) poco prima di Natale, cosa che rendeva impossibile procurarsi il cibo e faceva diventare carta straccia il salario. Sui tram che passano si fa in tempo a leggere scritto a grandi lettere «Strike», sui muri cartelli di cartone affermano «Pane e salario», all’interno del cantiere si declina meglio: «Rendere uguali i salari del partito con quelli degli operai» e il monito «Sì allo sciopero no al vandalismo».

Gli archivi
Tomasz Wolski ci riporta a quei giorni con il congegno documentaristico più contemporaneo che è il riutilizzo dei materiali d’archivio, in questo caso i filmati degli scioperi, e poi delle manifestazioni, degli scontri per strada a Danzica e Gdynia fino a Stettino e l’escalation della repressione, con il controcampo geniale di utilizzare un altro materiale in parallelo, le registrazioni telefoniche, materiale audio dello staff del ministero degli esteri, mai utilizzato prima in un documentario.
Erano collegati con il ministero i responsabili del Comitato Provinciale, l’ufficio dei piccoli burocrati locali che, in completo stallo, dovevano decidere che misure prendere con il timore di fare passi falsi, via via che la protesta aumentava e si allargava alle altre città della costa.
Quelle registrazioni, ha detto il regista non avevano un reale ruolo di spiare i discorsi, ma fatte quasi a scopo di documentazione, in ogni caso mai applicate a Gomulka, Moczar o Jaruzelski che avevano il ruolo decisionale.

Stop Motion
Un terzo elemento interviene a rendere inusuale e drammatica, densa di allusioni politiche, la lettura degli eventi: l’uso dello stop motion. Attraversiamo le sale deserte e silenziose dei palazzi del potere, entriamo negli uffici, ci avviciniamo alle scrivanie avvolte nel fumo delle sigarette alla fioca luce delle lampade da tavolo e nel cono di luce ecco i volti dei burocrati, i pupazzi burocratici interpretati da veri pupazzi che hanno le sembianze di quelli autentici, con la loro mollezza, lo spiluccamento continuo di cibo, tra il filo del telefono attorcigliato e le carte appallottolate. Si riconoscono perché la televisione li rende mezzibusti in grigio quasi tutti uguali, dal tono di voce inconfondibile, dai tentennamenti di ordinanza, tanto isolati quanto più cresce la mobilitazione in strada, senza tentare il minimo incontro.

Se il suo film vuole analizzare i meccanismi del potere, come ha dichiarato Wolski, certamente ci riesce poiché si aggiungono nella memoria dello spettatore anche le scene degli eventi di dieci anni dopo (raccontati da Wajda e prima ancora nel documentario Robotnicy 80 di Andrzej Chodakowski e Andrzej Zajaczkowski) Ma nel 1970 non c’è neanche il livello della trattativa, il popolo è visto come nemico, si decide di sparare ad altezza d’uomo e non solo di arrestare più persone possibili, ma anche di dotarli per la stampa, di un passato da criminali, pericolosi anarchici nemici della Polonia. Dopo otto giorni di sciopero, nel bilancio finale, che contò 42 morti, mille feriti e tremila arresti, si mettono a confronto le forze armate impiegate: 27 mila soldati, novemila poliziotti, 550 carri armati, più aerei elicotteri e imbarcazioni. Mai un un finale fatto di sole cifre è stato così emozionante e denso di significato.