«Never look back», mai guardarsi indietro dice Tom Hanks della sua lunga filmografia proprio nel giorno in cui gli viene consegnato, da Claudia Cardinale alla Festa del cinema di Roma, il Premio alla carriera accompagnato da una retrospettiva dei suoi lavori, più e meno famosi. «Preferirei che invece di Forrest Gump o Big, che avete visto tutti, guardaste titoli meno noti come Larry Crowne», dice infatti l’attore del film da lui scritto, diretto e interpretato al fianco di Julia Roberts.

La sua filmografia, come osserva lo stesso Hanks, è talmente fitta che sarebbe impossibile includerla interamente nel programma di un Festival. Gli ultimi due titoli sono Inferno di Ron Howard, che l’attore ha presentato pochi giorni fa a Firenze, e Sully di Clint Eastwood, regista di cui Hanks fa un’imitazione per il pubblico romano: «Non dice mai motore, azione. Con la sua crew, che è la stessa da circa vent’anni, comunica quasi solo a gesti».

Il regista con cui Tom Hanks ha lavorato più spesso nel corso della sua carriera è però Steven Spielberg, che gli ha affidato ben quattro personaggi, a partire dal Capitano John Miller di Salvate il soldato Ryan (1998): «Un uomo – dice l’attore – che si trova nel bel mezzo dell’inferno sulla terra ed è terrorizzato perché sa che da lui dipenderà la morte di molte persone». Poi è la volta, nel 2002, dell’agente dell’Fbi Carl Hanratty che insegue per anni il falsario interpretato da Leonardo Di Caprio in Prova a prendermi, «in cui – racconta Hanks – mi sentivo come l’ispettore Javert che da la caccia a Jean Valjean nei Miserabili».

Per il suo ruolo in The Terminal Tom Hanks dice invece di essersi ispirato al suocero, fuggito dalla Bulgaria comunista: «Era convinto che gli Stati Uniti fossero il più grande paese al mondo per il semplice fatto che poteva leggere, guardare e fare quello che voleva». L’anno scorso è la volta di Il ponte delle spie, un film di spionaggio ambientato durante la guerra fredda che, spiega l’attore,«mi ha molto appassionato perché da ragazzo non sarei mai riuscito a immaginare che un giorno l’Unione Sovietica non sarebbe più esistita. Sono cresciuto pensando che fosse il nostro nemico intramontabile, il paese che voleva sconfiggerci e superarci nella conquista della luna».

A meno di un mese dalle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, all’attore viene ovviamente chiesto un parere sull’ascesa di Donald Trump. Lui scherza, imitando un corrispondente italiano in America che gli ha chiesto «perché Trump?», e a cui lui aveva risposto: «Perché Berlusconi?».

Ogni quattro anni in coincidenza con le elezioni, continua Hanks,«è come se negli Stati uniti il circo fosse arrivato in città. Alle volte ci si sente a un bivio, in altri casi ci sono grandi aspettative rispetto a ciò che accadrà. Credo che viviamo in tempi in cui il futuro ci appare incerto, misterioso, mentre in molte parti del mondo si affrontano problemi terribili, che sembrano impossibili da risolvere». Ma gli americani – chiosa l’attore – non si sono mai affidati a figure «sempliciste ed egoiste» come Trump: «Personaggi come il candidato repubblicano sono già esistiti nel corso della nostra storia, come ad esempio il Senatore Joseph McCarthy, ma non abbiamo mai fatto affidamento su gente come lui per guidare il nostro paese, e non accadrà neanche stavolta».