Da bravo padovano ti chiamavi Antonio. Ma per tutti, tranne tua mamma, sei sempre stato Tom.
Il nome te lo eri scelto da bambino, figlio di ferroviere e famiglia di contadini. La tua casa, a Peraga di Vigonza, confinava con il grande parco della villa padronale del paese. Un giorno il figlio dei signori ti aveva intimato: «devi obbedirmi, perché io sono Tom Bettanini». In realtà anche il suo nome era Antonio – lo chiamavano così per snobismo di classe. E tu gli avevi risposto: «Di qui non mi muovo, se tu sei Tom Bettanini allora io sono Tom Benetollo». Ti eri cambiato il nome in un secondo, te lo sei tenuto per tutta la vita e ne andavi orgoglioso. Del resto, la resistenza all’arroganza del potere l’hai praticata e predicata per tutta la vita.

La relazione al tuo ultimo congresso dell’Arci nel 2002 si concludeva con una citazione di Al Ghazali, filosofo mediovale persiano: «Devi evitare di frequentare principi e sultani, perché dalla loro compagnia e frequentazione deriva gran danno. Ma se sei obbligato a frequentarli, evita complimenti e adulazioni, poiché Iddio l’Altissimo si adira quando vengono lodati malvagi ed oppressori».
E infatti ti sono sempre piaciuti i dissidenti. Una delle tue stelle polari era Alexander Dubcek, l’eroe della Primavera di Praga schiacciata nel 1968 dai carri armati sovietici -costretto per anni a pulire giardini fino alla «rivoluzione di velluto» del 1989 che lo riportò alla testa del suo paese. Nessuno costrinse mai te a fare il giardiniere, anche se coltivavi i pomodori sui vasi in balcone. Però te ne andasti da Botteghe Oscure. Per anni avevi accettato di negoziare parola per parola perfino il testo dei volantini pacifisti, ma dopo Berlinguer la mediazione interna ti pareva finalizzata solo a produrre immobilismo.

Rinunciasti a una sicura carriera politica per esiliarti all’Arci, che a quel tempo stava sull’orlo del fallimento. Con Nuccio Iovene e Giampiero Rasimelli, vi caricaste di una enorme quantità di debiti e di una storia tutta in salita. Ma avevate un piano: creare uno spazio libero per la sinistra, ancorato alla dimensione politica del sociale.
Tu eri comunista. Il Pci rispondeva per te alla esigenza di trasformare in forza collettiva l’anelito individuale contro ogni oppressione. La possibilità di dare agli ultimi gli strumenti per «imparare a non togliersi il cappello davanti al padrone» come dicevi sempre. Produttore di emancipazione e cambiamento, come il sindacato.

Poi, il Pci si fece cadere in testa il Muro di Berlino. Per te, che quel muro avevi sempre combattuto, il 1989 avrebbe dovuto essere una festa e aprire la strada a una sinistra più forte e più grande, non ideologica, plurale e unitaria. Fu al contrario la resa al pensiero unico.
Tu rimanesti convinto fosse necessario innestare sulla migliore cultura comunista il portato dei nuovi movimenti. Il pacifismo, la nonviolenza attiva, l’ambientalismo, i diritti civili, il femminismo, l’antirazzismo stavano facendo crescere in tutto il mondo generazioni nuove e nuove pratiche, arricchivano l’orizzonte della lotta per la pace, l’uguaglianza e la giustizia sociale. Lo hai creduto e praticato fino all’ultimo, accompagnando il movimento altermondialista, tollerando sempre più a fatica «la debolezza e la subalternità delle forze del centrosinistra e della sinistra», fino a dire nel tuo ultimo intervento che «l’autoriforma della politica non c’è stata e non ci sarà: ne deduco che sia necessaria una vera e propria rivoluzione, rovesciando i meccanismi che conducono alla formazione della volontà politica».

L’avresti fatta, la rivoluzione della politica dal basso e da sinistra. Avresti saputo farla. Perché avevi capacità di visione e guardavi lontano. Eri curioso del mondo, capivi le sfide del futuro prima che diventassero evidenti. Sapevi come mettere un passo dietro l’altro per avanzare. Costruivi alleanze, per aumentare l’impatto. Sapevi coinvolgere tutti, e non lasciavi indietro nessuno.

Ti stavi attrezzando, grazie agli anni di immersione nel sociale. Ci avresti indicato la strada, come sempre. Non hai fatto in tempo.
E noi siamo qui, dopo dieci anni, a rimpiangerti – Tom Benetollo, che potevi sfidare il potere perché non lo invidiavi. Tu credevi nella forza dei piccoli. E per questo eri un grande.