Ieri è stata un’altra giornata di scontri tra palestinesi e polizia sulla Spianata di Al Aqsa. E simili saranno i prossimi giorni. Le proteste di re Abdallah di Giordania, custode di Haram al Sharif (la Spianata), che ha messo in guardia Tel Aviv da compiere «ulteriori provocazioni», e gli inviti alla calma giunti da Ue e Stati Uniti non sfiorano i nazionalisti religiosi israeliani decisi a non interrompere le loro “visite turistiche”, approvate dal ministro Gilad Erdan. L’obiettivo è chiaro: mettere fine allo status quo e ottenere il controllo, almeno parziale, del sito dove secondo la tradizione ebraica sorgeva il biblico Tempio. Da 1300 anni in quel luogo c’è la Cupola della Roccia, la moschea terzo luogo santo dell’Islam, ma questo è solo un “particolare” per chi alla storia, alla cultura, all’arte, all’archeologia guarda con il paraocchi.

 

La Spianata di al Aqsa non è lontana, dista poco più di un chilometro dalle ultime lapidi ancora in piedi del cimitero islamico di Mamilla (dall`arabo Maaman Allah, “santuario di Allah”), uno dei più antichi e, un tempo, uno dei più grandi di Gerusalemme. Questo pezzo di terra nella zona ebraica della città, a metà strada tra il famoso King David Hotel e la via con gli ombrellini volanti regno della movida israeliana, ha custodito sin dal settimo secolo tombe di santi sufi, di combattenti della prima generazione di seguaci di Maometto, di guerrieri agli ordini del Saladino, di importanti famiglie e personalità islamiche di Gerusalemme. Poco alla volta sta sparendo, ormai è ridotto a un fazzoletto di terra, schiacciato tra le arterie centrali Agron e Hillel. I passanti non lo notano, i turisti non ne conosco l’esistenza. I solerti funzionari del vicino consolato statunitense non gettano lo sguardo verso quelle tombe con le scritte in arabo quando al mattino vanno al lavoro. L’oblio però non è dovuto all’incuria. Gran parte del cimitero di Mamilla sarà occupato dal “Museo della Tolleranza”. Si tratta di un progetto del Simon Wiesenthal Center e sarà inaugurato nel 2017. Promuoverà, affermano i responsabili, «rispetto e tolleranza universale» e «valori condivisi per un futuro comune».

 

Belle parole. Tolleranza e rispetto. Ma non per tutti. Se qualche giorno fa le autorità israeliane hanno denunciato i gravi atti di vandalismo a danno del cimitero ebraico ai piedi del Monte degli Ulivi (3mila anni, 150mila tombe), non sono apparse altrettanto sdegnate per la sorte del cimitero di Mamilla al quale nel 1927, durante il Mandato Britannico, fu riconosciuto un enorme valore storico e religioso. Vi sono, o meglio vi erano, sepolti prima dell’inizio dei lavori esponenti dei Mituwalli, Dajani, Nusseibeh, Khalidi, Husseini e Duzdar, solo per citare alcune delle grandi famiglie che hanno lanciato, assieme alle autorità islamiche locali, la campagna per salvare il cimitero. Più di 1500 sepolcri sono stati distrutti sino ad oggi, si stima che resti intatto solo il 10% del cimitero. A nulla è servita la petizione che 84 archeologi di tutto il mondo firmarono qualche anno fa per bloccare la distruzione del sito. Così come è stato inutile il ricorso presentato dall’Al-Aqsa Foundation for Waqf and Heritage alla Corte suprema israeliana, respinto in virtù della “Legge sulla Proprietà degli Assenti” che negli anni ’50 diede il via a una massiccia confisca di proprietà arabe.

I palestinesi non hanno dubbi. Si sta completando un altro capitolo del piano lento e costante volto a rendere invisibile la Gerusalemme islamica e il carattere arabo della Città Santa. Per il cimitero di Mamilla la fine si sarebbe ulteriomente avvicinata dopo che il Comitato distrettuale per pianificazione ha annunciato la costruzione di 192 appartamenti, un centro commerciale, un hotel e un parcheggio. E dopo quello di di Mamilla, denunciano ancora i palestinesi, è in pericolo anche il cimitero di Bab al-Rahmeh (la Porta della Compassione), accanto alla moschea di Al Aqsa e con una storia di mille anni, occupato in parte nei giorni scorsi dalle autorità israeliane e destinato, pare, ad essere incluso in una “area verde”. La popolazione è intervenuta rimuovendo bandiere israeliane e recinzioni a ridosso di alcune tombe. Il progetto difficilmente si fermerà, prevedono gli esperti palestinesi. Creando una “area verde” intorno alla Spianata e alle mura orientali della Città Vecchia, spiegano, il centro antico di Gerusalemme rimarrà separato dai vicini quartieri arabi.