Il ritratto di una famiglia borghese in Giappone dove tutto all’apparenza sembra regolare, ma dove in realtà ognuno nasconde il suo scheletro nell’armadio, sino al punto in cui si apre un baratro imprevedibile che ha il potere di inghiottire e disintegrare le relazioni e gli affetti. Con Tokyo Sonata, il regista Kiyoshi Kurosawa abbandona il genere horror a cui doveva la sua fama per concentrarsi sui piccoli e grandi drammi quotidiani di una famiglia giapponese tipica del ceto medio.

Il capofamiglia Ryûhei viene licenziato dall’azienda nonostante sia un buon impiegato: il personale cinese ha un costo nettamente inferiore. La moglie Megumi vive la sua quotidianità tra alti e bassi, sino al giorno in cui viene presa in ostaggio da un povero rapinatore, uscito fuori di senno. Vi sono poi i due figli: Takashi, il maggiore, ha scelto di arruolarsi nell’esercito americano, mentre il piccolo Kenji vuole imparare a suonare il pianoforte nonostante la famiglia sia contraria.

Con un realismo impietoso, il film indaga il sistema culturale e economico contemporaneo giapponese. Dal dramma della disoccupazione, alla rigidità dei ruoli sociali, fino alle incolmabili distanze generazionali. E affronta con maestria l’orrore del quotidiano e lo smarrimento dell’individuo nella società. Ne esce una società troppo distante dai suoi individui, bloccata in una serie di regole formali e rituali che non hanno più significato, incapace di generare un senso di collettività e ossessionata dalla perdita dello status acquisito.

Tokyo Sonata
2008, regia di Kiyoshi Kurosawa