Khaled Ali ha ufficializzato lunedì al Cairo la sua candidatura alle presidenziali che dovrebbero tenersi a marzo 2018. Il leader di sinistra è il primo in Egitto a lanciare la sfida ad al-Sisi, in carica da quattro anni, ma le probabilità di successo sono minime, per non dire nulle.

Proprio pochi giorni fa l’ex-generale (salito al potere con un colpo di stato) ha annunciato che non cercherà di ottenere un terzo mandato, ma ancora non ha sciolto la riserva su una sua candidatura per l’anno prossimo. Ali ha precisato che l’annuncio è ancora provvisorio, in attesa di avere la certezza che le elezioni si svolgeranno nel rispetto delle garanzie necessarie di correttezza.

Le premesse di questa campagna elettorale non sono incoraggianti. Poche ore prima della conferenza stampa in cui Ali ha annunciato la candidatura, la tipografia che aveva stampato i materiali cartacei per il lancio della campagna è stata attaccata dalle forze di sicurezza, e i volantini distrutti o sequestrati.

Inoltre, la conferenza si è dovuta svolgere in una affollatissima saletta della sede del partito al-Dustur, dopo che diversi altri luoghi avevano rifiutato di ospitarla (probabilmente dopo pressioni delle forze di sicurezza). Alla conferenza stampa non era presente quasi nessuno degli organi di stampa pubblici e privati egiziani, un segnale che l’eventuale campagna elettorale dovrà vedersela con il totale oscuramento mediatico.

Nel suo discorso, visibilmente emozionato, Ali ha puntato il dito contro i fallimenti del regime in carica nel mantenere le promesse di dignità, libertà, sicurezza e stabilità. Ha denunciato la repressione accusando il regime di usare strumentalmente la guerra al terrorismo per zittire le voci democratiche e ha ricordato le migliaia di giovani imprigionati nelle carceri del regime.

Al centro del discorso il disastro economico e sociale degli anni di gestione al-Sisi. Sotto accusa «una ristretta cerchia radunata intorno alla presidenza che ha monopolizzato potere e ricchezza». L’impoverimento e il deterioramento dello standard di vita della maggioranza della popolazione hanno portato la gente a una condizione di «disperazione e frustrazione nei confronti del futuro senza precedenti», afferma Ali.

Anche la bozza programmatica della campagna presidenziale è fortemente centrata sui temi economici e sociali, evitando al massimo le penose diatribe identitarie che hanno polarizzato il dibattito pubblico negli ultimi anni. I punti principali del programma riguardano i salari, una riforma del sistema di tassazione, le privatizzazioni, l’assistenza sanitaria universale, il sostegno ai piccoli contadini e una revisione dei mega-progetti di sviluppo che hanno risucchiato miliardi in risorse preziose a vantaggio di pochi gruppi affaristici legati al regime.

Il quarantacinquenne Ali, avvocato, è uno dei principali leader del partito di sinistra al-’Aish wa al-Hurriya (Pane e Libertà), nato dopo la rivoluzione del 2011. Ma la sua storia politica affonda le radici nel vasto mondo dell’associazionismo civico egiziano.

Ali è tra i fondatori del Centro Legale Hesham Mubarak, una delle più importanti organizzazioni per i diritti umani in Egitto, nata nel 1999. Ha partecipato alla difesa legale degli accusati per l’«intifada» di Mahalla al-Kubra, città industriale del Delta teatro di un’ondata di proteste sociali tra il 2006 e il 2008.

Poi, nel 2009 ha fondato il Centro Egiziano per i Diritti Economici e Sociali. L’Ong ha svariate sedi nel paese ed è attiva soprattutto nella difesa legale di lavoratori e contadini e nel supporto ai sindacati indipendenti, oltre a svolgere un’intensa attività di ricerca e advocacy nel campo dei diritti sociali e delle proteste.

Khaled Ali si era già presentato alle prime elezioni post-rivoluzione nel 2012, dove ottenne un misero settimo posto con lo 0,6% dei voti, quando le sinistre si presentarono divise con diversi candidati. Ma oggi lo scenario politico è cambiato: la popolarità di Sisi è decisamente calata (anche se non esistono sondaggi attendibili per valutarla), e l’opposizione islamista è di fatto scomparsa, schiacciata dalla repressione e fortemente divisa.

Soprattutto, la popolarità di Khaled Ali è salita alle stelle da quando a gennaio, a capo di un nutrito team legale, è riuscito a ottenere una sentenza che annullava l’accordo con cui l’Egitto cedeva due isole all’Arabia Saudita.

La questione delle isole ha rappresentato una gravissima macchia per l’immagine del regime, colpevole agli occhi della maggioranza degli egiziani di svendere la propria sovranità in cambio degli aiuti economici dell’alleato saudita. D’altra parte, la vittoria legale di Khaled Ali, anche se di fatto solo simbolica, lo ha catapultato nell’arena politica, facendone un’icona della difesa della terra e dell’onore dell’Egitto.

La scelta di Khaled Ali è stata condivisa e discussa con un ampio spettro di forze di sinistra e democratiche, ha dichiarato il portavoce Khaled el-Balshy parlando al sito Madamasr. La candidatura però non ha mancato di suscitare polemiche tra chi lo definisce un “suicidio politico” e chi sostiene invece da subito l’idea del boicottaggio, per non legittimare l’ennesima finzione elettorale.

Ma la corsa di Khaled Ali potrebbe essere fermata ancor prima dell’inizio di una vera e propria campagna elettorale. L’avvocato è in attesa di giudizio da una corte del Cairo che mercoledì ha rinviato l’udienza al 3 gennaio. L’accusa è di aver commesso un «gesto osceno» esultando in tribunale all’annuncio della sentenza sulle isole. Rischia una condanna a tre mesi, e l’esclusione dalla candidatura a presidente.