L’anno che si chiude ha lasciato la sua impronta in America latina. La morte di Hugo Chávez, il 5 marzo, ha fatto tremare i polsi a tutta l’area del socialismo latinoamericano: un ritorno della destra nel paese che detiene le maggiori riserve di petrolio del pianeta avrebbe danneggiato tutta l’area. E la rete di alleanze messe in campo con l’istituzione dell’Alba – l’Alleanza bolivariana per le Americhe ideata da Chávez e Fidel Castro nel 2004 – non sarebbe sopravvissuta. Né la Pdvsa, l’impresa petrolifera di stato, avrebbe seguito sorte diversa da quella della Pemex in Messico, riaperta ai programmi neoliberisti dal presidente Peña Nieto. Misure simili erano state promesse dagli avversari di Chávez, da lui scalzati nel ’98 e sempre tenuti a bada.

Per tutto l’anno, la malattia del presidente venezuelano, affetto da un tumore, ha tenuto accesi i riflettori sul paese, rimasti tali anche dopo la morte del suo carismatico comandante e dei funerali moltitudinari durati molti giorni. Le presidenziali del 14 aprile, vinte di misura dall’ex autista del metro Nicolas Maduro hanno provocato l’ira funesta della destra, lasciando una scia di sangue e di paura. Le recenti amministrative dell’8 dicembre, che l’opposizione avrebbe voluto trasformare in referendum contro il governo, hanno invece consolidato (dieci punti percentuali di scarto) il proceso bolivariano. A Caracas, l’anno si è chiuso con la Cumbre extraordinaria Alba-Petrocaribe, il cui obiettivo principale è la creazione di una grande zona economica per sconfiggere fame e povertà. Un vertice che ha lasciato aperte le porte all’incorporazione della Unasur: «Iniziativa cruciale per un continente in cui ancora 50 milioni di persone fanno la fame», ha affermato il brasiliano Graciano da Silva, direttore della Fao.

Il 2013 è stato un anno di altre importanti elezioni per l’America latina, che per la prima volta ha portato in Vaticano un papa argentino. Il campo socialista si è consolidato con la conferma di Rafael Correa alla presidenza dell’Ecuador. Correa, eletto nel 2006 e riconfermato nel 2009, ha ottenuto un ampio consenso anche questa volta. Mentre in Bolivia e in Nicaragua il parlamento ha votato la modifica costituzionale che consente a tutte le cariche di essere rielette senza limite. Su cinque presidenziali, tre sono andate a sinistra, due a destra. La vittoria di Michelle Bachelet in Cile, favorita dall’ondata di proteste popolari degli ultimi due anni, ha portato in parlamento anche alcuni leader studenteschi e ha riaperto la partita con vecchi e nuovi pinochettismi. La sinistra moderata di Bachelet in parlamento non dispone di tutti i voti per far passare le leggi che ha promesso, però la parola potrebbe tornare alla piazza. E potrebbe anche venir meno un importante anello dell’Alleanza del Pacifico (Cile, Colombia, Messico e Perù), barriera neoliberista contro l’integrazione regionale non subordinata a Washington.

Il Pentagono vede tutelati i propri interessi invece dalla vittoria della destra alle elezioni in Paraguay e in Honduras. Il miliardario Horacio Cartes ha riportato al potere il Partido colorado ad Asuncion, cancellando la breve parentesi gestita dal vescovo dei poveri Fernando Lugo, eletto nel 2008 e deposto con un colpo di stato «istituzionale» nel 2012. Per quel golpe, il Paraguay era stato espulso dal Mercosur in favore del Venezuela, in attesa di dimostrare con le elezioni il proprio livello di democrazia. Dopo il voto per Cartes, Asuncion è stata riammessa nel Mercosur e ha dovuto ingoiare la presenza di Caracas nell’organismo regionale. A Tegucigalpa, le acque restano invece torbide dopo la vittoria della destra di governo di Juan Orlando Hernandez, le accuse di brogli e le denunce dell’opposizione. Il partito Libre – un fronte ampio di centrosinistra nato dopo il golpe del 2009 che ha portato alla deposizione del presidente legittimo Manuel Zelaya – ha candidato Xiomara Castro, moglie dell’ex presidente, e non ha riconosciuto i risultati. Il 2013 è stato anche l’anno del processo di pace in Colombia tra governo e guerriglia, apertosi a Oslo e ancora in corso all’Avana nonostante i feroci colpi bassi lanciati dall’ultradestra di Alvaro Uribe. Un conto aperto per il 2014, che vedrà la Colombia alle urne e la ricandidatura alla presidenza di Manuel Santos.

L’anno prossimo, in un continente in crescita solo del 2,6%, sono previste sette elezioni presidenziali: Bolivia, Brasile, Colombia, Costa Rica, Salvador, Panama e Uruguay. «La Dottrina Monroe è finita», ha dichiarato all’Osa il segretario di stato John Kerry, ammettendo la perdita di supremazia Usa nel continente latinoamericano.