L’Isis procede vittorioso tra le macerie dello Stato libico. Dopo la conquista di Derna e Sirte, lungo la costa est, il califfato ha occupato venerdì la città di Harwa, a est di Sirte. Presi gli edifici governativi, simbolo dell’unità che fu e del vuoto politico che attanaglia la Libia dall’operazione anti-Gheddafi ordita dalla Nato 4 anni fa. E ieri a cadere in mano agli islamisti è stata una centrale elettrica, poco fuori Sirte, che rifornisce il centro e l’ovest del paese.

I repentini punti segnati dal califfato negli ultimi giorni fanno da cassa di risonanza alla sconfitta della diplomazia delle Nazioni Unite e all’incapacità di previsione di quella comunità internazionale che rimugina sul desiderato intervento esterno.

Ieri l’inviato Onu per la Libia, Bernardino Leon, è stato preso a schiaffi dal parlamento eletto, ovvero l’autorità considerata dall’Occidente l’interlocutore privilegiato. Dopo la formazione di un secondo parlamento islamista a Tripoli, fu costretto lo scorso anno all’esilio a Tobruk.

L’incontro tra i due parlamenti si sarebbe dovuto tenere oggi a Berlino. A fare da ombrello la quarta versione della bozza di accordo stilata da Leon, che – dopo aver avvertito della crisi finanziaria in cui la Libia sta sprofondando – sperava di raggiungere un’intesa entro l’inizio del mese sacro di Ramadan, il 17 giugno. La proposta Leon, consegnata lunedì alle parti, prevedeva la formazione di un governo di unità nazionale, della durata di un anno, con un consiglio dei ministri guidato da un premier e due vice, un triumvirato rappresentativo delle fazioni avversarie; il riconoscimento di una sola Camera dei Rappresanti con potere legislativo; e la creazione di un Alto Consiglio di Stato (ovvero l’attuale parlamento islamista di Tripoli) con poteri consultivi sia sul piano esecutivo che legislativo.

Il braccio libico della Fratellanza Musulmana, parte dell’operazione Fajr Libya che governa a Tripoli, ha accolto con favore la bozza di accordo: «Così si realizza un positivo miglioramento che va preso seriamente per porre fine alla divisione politica», ha commentato il leader Sawan, del partito islamista Giustizia e Costruzione. A dire no è stato proprio Tobruk che ha vietato ai propri delegati di partire per la Germania: «La maggioranza dei deputati ha rigettato la bozza», ha detto da Tobruk il parlamentare Tareq al-Jouroushi alla Reuters. Parlando con l’Ap, il portavoce del team di negoziatori, Essa Abdel-Kaoum, ha aggiunto che il rifiuto è figlio della scelta di Leon «di piegarsi» alle richieste islamiste che con la bozza in questione avrebbero ottenuto più potere e, di conseguenza, maggiore controllo delle risorse energetiche, vere prede dei due parlamenti rivali.

Così crolla il castello di carte dell’Onu che fino a poche ore prima si diceva «ottimista»: «Abbiamo distribuito una nuova proposta – aveva detto lunedì Leon – Tutto quello che posso dirvi è che la reazione è stata positiva».

Ed invece proposta bocciata: alla porta resta quell’Europa che da tempo indica nella Libia la causa del rafforzamento di gruppi islamisti radicali in Nord Africa e delle stragi nel Mediterraneo e strepita per intervenire. Dimenticando chi quel rafforzamento lo ha provocato: il rovesciamento del colonnello Gheddafi, il cui pugno di ferro aveva saputo tenere insieme le tante anime libiche, ha fatto esplodere la latente divisione del paese, frammentato in autorità diverse e rivali. Oggi i gruppi armati attivi in Libia sarebbero almeno 1.700: milizie laiche, islamiste, tribali, intenzionate a ritagliarsi il loro angolo di potere economico e politico e non certo vogliose di abbandonare le armi generosamente distribuite dall’Occidente durante l’attacco Nato.

Tra chi smania per intervenire c’è il premier italiano Renzi che al G7 ha ritirato fuori dal cilindro l’opzione militare come soluzione agli sbarchi di profughi disperati. Lo stesso ha fatto sabato il ministro della Difesa spagnolo, che giustifica l’attacco con la presenza dell’Isis nel paese. Così la fortezza Europa, che da metà maggio – secondo i documenti pubblicati da WikiLeaks – discute di azioni militari, pensa di fermare le stragi. Andando al valle, invece che a monte.