Le frontiere evocano oggi il dramma delle migrazioni e di politiche internazionali che, assieme ai muri, provocano la costruzione di ideologie xenofobe. Malgrado nell’Antichità la circolazione di genti diverse fosse una consuetudine, confini ben delineati proteggevano regni ed imperi dalle invasioni di popoli considerati minacciosi.
A questo servì anche il limes romano che, nel II secolo d.C., si estendeva per cinquemila chilometri dalla costa atlantica a nord della Gran Bretagna al Mar Nero, attraversando l’Europa fino al Mar Rosso e all’Africa del Nord, per poi «chiudersi» di nuovo nella costa atlantica. Oltre a sfruttare le barriere naturali, quest’immenso sistema difensivo comprendeva strutture quali fossati, fortezze, torri di controllo e abitazioni civili.

A partire dal 1987, alcuni di questi elementi, riemersi nel corso di scavi e ricerche, sono entrati sotto la comune denominazione di «Frontiere dell’Impero Romano» nella lista del patrimonio dell’Unesco. Fanno parte del complesso monumentale il Vallo di Adriano – edificato nel 122 d.C. dall’imperatore nato ad Italica e concepito come una linea continua di centodiciotto km ai limiti settentrionali della provincia della Britannia, corrispondente all’attuale frontiera tra l’Inghilterra e la Scozia – e dal 2008, il Vallo di Antonino, eretto dall’imperatore Antonino Pio verso il 140 d.C. nell’odierna Scozia meridionale, tra i fiumi Forth e Clyde, e lungo sessanta chilometri. Nel 2005 è stato inoltre riconosciuto il valore culturale del limes germanico-retico, un insieme di fortificazioni, mura o postazioni di guardia racchiusi tra i fiumi Reno e Danubio ed eretti dai Romani a protezione dei confini delle province della Germania superiore e della Rezia.

Lo scorso 11 febbraio, una conferenza dell’Unesco promossa dalla delegazione permanente dell’Austria presso l’Unesco a Parigi e dal Centro del patrimonio mondiale ha rilanciato il progetto transnazionale e transcontinentale delle frontiere dell’impero romano, allo scopo di rafforzare la cooperazione per la salvaguardia del patrimonio archeologico e nell’intento di sollecitare nuove iscrizioni.

All’evento, svoltosi online a causa della pandemia, ha partecipato – congiuntamente ad esperti dell’antica Dacia e dell’Oriente romanizzato – anche lo studioso tunisino Mustapha Khanoussi, il quale ha illustrato la ricchezza e la varietà delle testimonianze militari del Nord Africa, area che dal 146 a.C. al 439 d.C. (anno della presa di Cartagine da parte dei Vandali) subì la dominazione romana.

In questo vasto e geograficamente composito territorio le vestigia del limes si estendono, lungo le frontiere meridionali delle antiche province di Cirenaica, Africa Proconsolare, Mauretania Cesariense e Mauretania Tingitana, su una banda lunga più di tremila e cinquecento chilometri. La Tunisia è l’unico paese del Maghreb ad aver iscritto nella lista indicativa dell’Unesco il segmento che comprende – fra le altre opere di difesa – la clausura (muro) di Bir Om Ali e il campo romano di Tisavar a Ksar Ghilane. Sarebbe auspicabile che gli altri paesi del Nord Africa – Libia, Algeria e Marocco – seguissero l’iniziativa tunisina, in quanto l’adesione al progetto delle Frontiere Romane permetterebbe di assicurare da una parte un’adeguata protezione giuridica alle componenti del limes (come accaduto in gennaio per la fortezza di Tisavar), dall’altra di sviluppare la salvaguardia del patrimonio secondo standard internazionali.

Numerosi sono, infatti, i siti archeologici che rischiano di degradarsi o soggiacere alla speculazione edilizia. Fra tutti spicca il campo dei legionari di Lambaesis, presso l’odierna città di Tazoult in Algeria, da fine Ottocento già parzialmente ingombrato da un penitenziario e sul quale si eleva un impressionante arco a quattro fronti, in origine provvisto di copertura e identificato per molto tempo con il pretorio ovvero lo spazio riservato al comandante della guarnigione.

Per ragioni storiche e diplomatiche, l’Italia dovrebbe associarsi al progetto delle Frontiere Romane, in particolare sostenendo e coadiuvando – attraverso una collaborazione scientifica mirata allo studio e alla valorizzazione dell’eredità archeologica del limes – le candidature del Maghreb, regione con la quale può vantare una consolidata cooperazione culturale.