Al Forum Ambrosetti di Cernobbio il ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza ha scelto parole diverse da alcuni suoi recenti predecessori al governo per descrivere l’attitudine dei giovani italiani al lavoro precario. Non li ha definiti «schizzoni» («Choosy») e non li ha etichettati come «bamboccioni».

«Mai più un laureato che arriva a 25 anni senza aver mai avuto un’esperienza come cameriere o assistente in libreria», ha detto, ribadendo il concetto che l’esperienza lavorativa deve iniziare sin dalla scuola, alternandosi con gli studi, i tirocini in azienda. La vita della mente dev’essere accompagnata dalla capacità di orientarsi in un universo di contratti che vanno e vengono e talvolta scompaiono. Carrozza ha ricevuto il plauso degli imprenditori che più volte hanno sottolineato la priorità del collegamento tra scuola e lavoro. Proprio come se questo non avvenisse già e non riguardasse la maggioranza degli studenti.

La stessa esigenza è stata ribadita ieri dal sottosegretario all’Istruzione Gabriele Toccafondi nel corso dell’inaugurazione dell’anno scolastico in un professionale di Prato. Con l’aggiunta di uno dei luoghi comuni preferiti dalle piccole e medie imprese: i posti di lavoro ci sarebbero, le aziende che cercano «figure professionali qualificate» sono 137 mila, ma poche di loro le trovano. La responsabilità sarebbe della scuola che non prepara al lavoro in un paese dove la disoccupazione giovanile tra i 15 e i 24 anni ha superato il 39%.

Un interessante, e tempestiva, analisi del consorzio bolognese Almalaurea dimostra che la situazione non corrisponde a quella descritta ed è in costante trasformazione. Nel 2012, stage e tirocini hanno coinvolto 56 laureati su 100, le possibilità di trovare un’occupazione sarebbero aumentate del 12%. Rispetto al 2004, queste attività coinvolgevano 20 laureati pre-riforma su 100. Dunque stage e tirocini sono aumentati del 36% in otto anni, con punte del 68% tra i laureati triennali e del 72% tra i magistrali. La stragrande dei ragazzi ha svolto almeno uno stage prima dei 25 anni. Le discipline dov’è più intenso il ricorso allo stage o al tirocinio sono quelle mediche o sanitarie (84%), segue l’insegnamento (83%) e il settore chimico-farmaceutico.

In aumento le attività di formazione al lavoro tra le discipline giuridiche (nel 2012 al 13%). Il 22% dei laureati ha svolto tirocini con oltre 400 ore, la maggior parte delle quali si sono svolte fuori dalle università, ad eccezione di medicina e odontoiatria e per il gruppo geo-biologico.

Tra i diplomati il 42% ha svolto uno stage di lunga durata (oltre 150 ore), il 48% uno stage entro le 80 ore. «I passi fatti in avanti sono notevoli – afferma Andrea Cammelli, fondatore di AlmaLaurea – ma si può fare molto di più. Lo stage dev’essere fatto presso aziende o centri di ricerche di qualità, coordinato dal personale, diversamente il giovane rischia di perdere tempo». Se poi allo stage, già così diffuso, fossero riconosciute maggiori tutele, ad esempio quella del reddito, risulterebbe più «formativo».

Cosa che non sempre avviene.