Una gara di tiro alla balestra per conquistare una marchesina appassionata di falegnameria e innamorata di un ebanista, un manipolo di strampalati cacciatori e gendarmi ballerini, una volitiva ragazza travestita da medico per risolvere l’incidente causato da una freccia, una marchesa dalla vita burrascosa, madre di vari figli segreti. Sono alcuni dei bizzarri personaggi di V’lan dans l’oeil, o L’oeil crevé (L’occhio bucato) di Hervé, operetta creata a Parigi nel 1867 con enorme successo e riportata in vita al Théâtre du Châtelet dal 16 al 23 giugno. L’operetta era parte del festival parigino di Palazzetto Bru Zane, la fondazione che da Venezia promuove un decennio promuove la musica romantica francese in giro per l’Europa: dopo l’arresto forzato del 2020 la rassegna ha proposto concerti dedicati a rarità di Saint-Säens, la grande Messa per l’incoronazione di Napoleone di Paisiello e mercoledì 30 giugno programma la spassosa Fille de Madame Angot di Lecocq. Il recupero di V’lan dans l’oeil è inquadrato dalla fondazione in un progressivo percorso di riscoperta del lavoro Hervé, al secolo Louis-Auguste Florimond Ronger, vissuto fra il 1825 e il 1892.

SINGOLARE figura di compositore, tenore, direttore d’orchestra, regista e impresario teatrale, fu molto popolare soprattutto presso le classi borghesi e per oltre un ventennio si accreditò come rivale dell’amico Offenbach, specializzandosi nel repertorio buffo. L’opera, su libretto dello stesso Hervé, ruota intorno alla finta freccia che la marchesina carpentiera Fleur de Noblesse (la scatenata Ingrid Perruche) si pianta nell’occhio per sabotare la gara di cui lei stessa è il premio, sbarazzandosi dell’arciere Alexandrivore per sposare l’amato ebanista. Lavoro originale, fitto di giochi parodistici sugli stilemi operistici romantici, il gotico e l’opera in punta di freccia dal Tell e al Freischütz di Weber, Vl’an dan l’oeil alterna un terzo di parti cantate – e ballate! – a due terzi di pezzi recitati, con numerose deviazioni verso un assurdo prossimo al nonsense.

LA REGIA di Pierre André Weitz, che firma anche scene e costumi, ambienta la vicenda nella nostalgia colorata delle fiere paesane di provincia, fra tiri a segno, zucchero filato, vino e lampadine colorate, e si avvale di una collaudata e brillante compagnia di artisti capaci di cantare, recitare e ballare tenendo un ritmo scatenato ma cercando anche di soddisfare le esigenze non sempre modeste della musica di Hervé, che oltre alle ariette leggere propone tra l’altro un coro di cacciatori e almeno un paio di duetti la cui musica sembra tolta da un’opera seria.

COME per le precedenti Mam’zelle Nitouche e Les Chevaliers de la Table ronde, sempre allestiti per la Fondazione Bru Zane dalla troupe di Weitz, l’operetta è inclusa in una coproduzione di più teatri francesi: il carattere eminentemente teatrale del lavoro di Hervé incoraggia poco le sortite fuori dai paesi francofoni, benché le Chevaliers sia stato molto applaudito alla Fenice di Venezia qualche anno fa. Diretta con gusto, energia e misura dal barbutissimo Christophe Grapperon sul podio dell’orchestra Pasdeloup, l’operetta ha dato occasione al pubblico di festeggiare a lungo i talenti molteplici di Damien Bigourdan, l’arciere Alexandrivore, di Lara Neumann, Dindonette, e di Pierre Lebon, Alma Villard, Jean-Damien Barbin. Il regista Weitz impersonava il Duc d’en Face, alle prese con una dentiera capricciosa, mentre la Marchesa del regista e attore Olivier Py rubava la scena ai protagonisti, fra citazioni di Lakmé di Delibes e piccanti allusioni in stile Coccinelle.