Nell’estate del 1991 i giornali italiani titolavano «L’invasione albanese», e le televisioni passavano immagini delle «carrette dei mari» che sbarcavano nei porti pugliesi. L’Albania in 12 anni, dal 1989 al 2001, perdeva 600mila abitanti, saliti a oltre un milione nel 2005, 400mila dei quali giunti in Italia.

Dell’Albania negli anni ’90 gli italiani sapevano poco, le ultime informazioni risalivano ai tempi della breve esperienza coloniale. All’improvviso poi, negli anni ’90, il paese delle aquile esplode, apre la sua cortina di ferro e si riversa sulle coste Italiane.

L’Italia, ex terra di emigrazione, si trova per la prima volta a dover affrontare un fenomeno migratorio massiccio sul suo territorio nazionale. I mass media gridano all’invasione, l’allarmismo cresce nell’opinione pubblica e nel giro di poco «l’albanese» comincia ad essere considerato un rischio per l’ordine pubblico e per la salute dei cittadini, perché presunto portatore di malattie, oltre che un insulto alla morale, in quanto collegato allo sfruttamento della prostituzione in Italia. Si afferma nell’immaginario collettivo lo stereotipo dell’albanese violento e criminale.

La neonata Lega Nord di Umberto Bossi, cavalca paura e malcontento per scopi elettorali, arrivando a dichiarare per voce del suo esponente Mario Borghezio che: «Citare la criminalità albanese è un riflesso condizionato naturale». Mentre il governo Prodi istituiva il Blocco Navale, che portava al tragico speronamento della Katër i Radës.

Poi gli anni passano, gli albanesi continuano ad andare e venire ma se ne parla sempre meno: le denunce penali negli anni che vanno dal 2000 al 2006, pur essendo raddoppiata la popolazione regolare, sono inferiori a quelle presentate in tutto l’arco degli anni novanta.

Nel giro di trent’anni la prima grande ondata migratoria arrivata nel nostro Paese può dirsi del tutto metabolizzata. Gli albanesi, prototipo degli immigrati «cattivi e violenti», oggi non fanno più paura. Sono circa 400mila residenti che studiano, lavorano, investono, fanno impresa, contribuendo in maniera significativa alla creazione del Pil italiano. L’immigrazione albanese verso i paesi esteri continua, soprattutto vanno via le giovani generazioni in età lavorativa e con alti livelli di istruzione. L’Italia, seppur non più in testa, rimane tra i paesi di destinazione.

In seguito alla crescita economica dell’Albania, e alla crisi del nostro paese, un numero crescente di albanesi ha fatto ritorno in patria e, parallelamente diversi italiani hanno iniziato ad investire nel paese, a volte trasferendosi a vivere lì.

Gli albanesi, negli ultimi dieci anni hanno inviato 7 miliardi di euro di rimesse verso il loro paese, grazie alle quali sono state aperte attività economiche che hanno consentito a chi è rimasto di trovare impiego, creando stabilità in un paese che non è più la spina nel fianco d’Europa, ma si sta trasformando in un partner.

 

*L’articolo è parte di «Humans of Albania» un progetto multimediale sostenuto dal bando della Regione Piemonte «Frame, Voice, Report! Giornalismo e cooperazione per gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile». In collaborazione con l’associazione Kallipolis, il giornalista Maurizio Dematteis, il fotografo Cosimo Maffione e il documentarista Paolo Ceretto. Obiettivo, un’inchiesta sugli sviluppi dell’immigrazione a partire dalle storie dei suoi protagonisti. Qui di seguito una selezione fotografica di Cosimo Maffione.
Il lavoro completo su www.humansofalbania.it
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