Regista libero e libertino per eccellenza, ossessionato (si sa) dai culi ma anche dalla cabina di montaggio, instancabile esploratore del desiderio femminile (ha da poco annunciato il ritorno al cinema, dopo otto anni, con il film Ziva. L’isola che non c’è), Tinto Brass ritorna sul proscenio con un omaggio all’interno del calendario della Milanesiana, rassegna curata da Elisabetta Sgarbi, e con la mostra Tinto Brass tra popolarità e arte, ideata dal regista stesso e dalla compagna Caterina Varzi, in corso all’Università IULM di Milano fino al 10 giugno. Ventisei fotografie, dominate dal bianco e nero dei suoi primi lavori, all’interno dei suoi set, con ancora negli occhi la lezione parigina della Nouvelle Vague e l’apprendistato in moviola insieme a Joris Ivens.
Il «fil rouge» dell’anarchia, compagna devota e giocosa fin dai primissimi cortometraggi, come ad esempio Tempo libero/Tempo lavorativo, proiettato lo scorso 5 luglio in Sala Buzzati, avvolge la «percepibile» atmosfera dei suoi set: i sorrisi, il mimare le azioni dei suoi personaggi, le posture con o senza macchina da presa, complice quel corpo lascivo e ubertoso, trasmettono la proverbiale comica solarità sovversiva del suo cinema.

Tra le poche fotografie a colori, spiccano quelle della «sua» Venezia stretta e bagnata, citando Joe D’Amato, e diversamente incarnata, nella sua triplice natura di madre-moglie-amante, dalle muse che hanno costellato la sua filmografia, convenzionalmente divisa (anche se la lotta e la sovversione si incarneranno da sempre prima nella politica e poi nell’erotismo) dallo spartiacque La chiave del 1983, inaspettato trionfo al botteghino che cambierà radicalmente il corso delle successive produzione. Il topos brassiano e costante del corpo viaggia attraverso l’eterno femminino e le sue innumerevoli variazioni sul tema, dalla sensualità spigolosa e umorale di Tina Aumont – protagonista del censuratissimo esperimento dadaista L’urlo, visibile in molte delle fotografie esposte – e di Silvana Mangano – musa delle sue prime rivoluzioni all’italiana in film come Il disco volante .

Per approdare alle curve scandinave di Anita Sanders in nEROSubianco, sovraccarico citazionista dove Mao, Godard, Bunuel e Duchamp danzano con passi eversivi insieme alle prime riflessioni sulla sessualità, fino al volto glaciale e beat di Ewa Aulin sul set fumettoso, grazie alla collaborazione con Crepax, di Col cuore in gola, indimenticabile pastiche pop ubriaco di Swinging London debitore del Blow Up di Michelangelo Antonioni, immortalato insieme a Brass in un’altra delle foto esposte. Il ribaltamento indisciplinato e surreale, prima delle regole della commedia nostrana poi di quelle dell’eros, si distingue chiaramente nella potenza di questi scatti, in questi slanci anarchici, dove Brass mette in scena soprattutto se stesso con ironia beffarda, accordata alla perfezione alle stilettate del suo cinema, grazie a maschere demoniache, parrucche arruffate, trench e sigaro d’ordinanza che gli conferiscono quell’aspetto a metà fra un Alfred Hitchcock lagunare e una caricatura da fumetto.
Non mancano i sederi burrosi dei suoi film degli anni ’80, le labbra turgide di Debora Caprioglio e Anna Galiena, il set abortito di Tenera è la carne – tratto dalle pagine erotiche, gioiose e anticonformiste della scrittrice Alina Reyes – Tinta e Caterina, le due compagne di una vita, e nemmeno grandi attori come Malcolm McDowell, Peter O’Toole, Jean-Louis Trintignant ma è sempre e comunque Tinto a occupare la scena, a ricordarci, con una smorfia e uno sberleffo, quanto sia ancora indispensabile combattere, anche sottopelle, per la libertà artistica, del cinema e dei sensi.