Il 28 marzo scorso Bumble, la terza app di appuntamenti più grande al mondo, ha intentato una causa contro Match Group, la holding che possiede Tinder il primo operatore del settore, chiedendo 400 milioni di dollari di danni. Il 16 marzo è stato il turno di Match che ha intentato una causa contro Bumble, sostenendo che ha copiato Tinder.

Al centro di questa guerra di carte bollate che non ha precedenti in uno dei settori più in crescita del capitalismo digitale c’è un aggiornamento che permette che permette alle donne la possibilità di interagire solo con gli uomini che scelgono. Una caratteristica simile all’applicazione Bumble dove sono le donne a individuare il partner. Match Group sostiene che Bumble ha violato due brevetti: quello che accoppia potenziali date e sul design dell’applicazione. La guerra è stata preceduta da un duplice tentativo di Match di acquisire Bumble per oltre 450 milioni di dollari. In entrambi i casi Bumble ha rifiutato. A complicare il un conflitto tra due società che producono profitti sulle relazioni e gli appuntamenti tra persone è Whitney Wolfe Herd, già vicepresidente del marketing di Tinder e che poi ha fondato Bumble. Nel 2014 Herd ha denunciato il suo ex capo Justin Mateen per molestie sessuali.

Il caso è emerso pochi giorni prima dello scandalo che interessa Grindr, una app di apputnamenti per il mondo gay, avrebbe infatti condiviso – come Cambridge Analytica nel «facebookgate» con due società esterne alcune informazioni sensibili degli utenti, tra cui lo status sull’Hiv e la posizione Gps. Lo ha denunciato un gruppo no-profit norvegese, Sintef, insieme all’emittente svedese Svt. La compagnia ha risposto annunciando di aver interrotto la condivisione dei dati.