«Che cosa fai quando tutto è contro di te? Io dico, vai avanti. Vai avanti senza fermarti. Non importa se ti arriva uno schiaffo in faccia, tu porgi l’altra guancia. E il dolore che senti? Non puoi fermarti a pensare a quello che ti hanno fatto, adesso o in passato. Devi solo andare avanti». È il mantra che Tina Turner ripete a se stessa e rivolge ai lettori nelle pagine della sua seconda autobiografia, uscita nel 2019. 81 anni, stella dalle molte vite, star della musica, simbolo di discriminazione, di violenza sulle donne e di riscatto, a lei i registi Dan Lindsay e TJ Martin hanno dedicato un documentario – intitolato semplicemente Tina – presentato in anteprima alla Berlinale e che Hbo manderà in onda il 27 marzo. Una carriera dove pubblico e privato si intrecciano indissolubilmente, raccontata in centoventi minuti ricchi di materiali inediti, clip, fotografie, filmati amatoriali che grazie a un montaggio veloce ma efficace sottolineano le varie fasi della vita della cantante di Nutbush. Parrucca bionda, rossetto fiammante stampato sulle labbra: una grande immagine di Tina nel 1985 campeggia a inizio film, poi i registi si concentrano su di lei intervistata oggi nella sua villa nei dintorni di Zurigo, dove vive e ha preso la cittadinanza quasi a staccarsi dal suo precedente percorso.

TINA SPIEGA il senso dell’intervista rilasciata a People nel 1981 dove rivela senza omettere dettagli, l’inferno dei diciassette anni passati con Ike: «Mi prende a pugni e poi si ferma, si toglie le scarpe e le usa per continuare il suo sporco lavoro. Lividi, il naso gonfio, l’occhio nero, erano il segno della sua proprietà. Era un modo di dire: è mia e faccio quello che voglio». Poi arrivano le voci di Oprah Winfrey, Angela Bassett – che nel 1993 portò la sua storia nel film What’s love got to do with it), di musicisti e produttori a tessere le fila del racconto. Un flash back senza sosta tra immagini dei concerti di Ike e Tina – una miscela ancora oggi irripetibile di r’n’b e soul reso incendiario dalla voce e dalle performance di Turner – che si sovrappongono alla visita dei luoghi della vita dell’artista. La telecamera indugia nelle stanze vuote della villa dove viveva con Ike e i quattro figli, muovendosi a ritroso del tempo a Memphis dove i genitori lavoravano nei campi di cotone. E ancora la figura della madre che la abbandona bambina e con la quale vivrà per sempre un rapporto conflittuale, le interviste post divorzio ad Ike che, incalzato dal giornalista, volge lontano lo sguardo freddo e colpevole.

NEL FILM L’ESORDIO come corista in chiesa, l’incontro giovanissima con Ike, i primi tour fino alla consapevolezza della sua ambizione: «volevo essere la prima donna nera a riempire gli stessi posti dei Rolling Stones». E ci riuscirà, è la seconda vita di Tina che si lascia definitivamente alle spalle il marito: fugge per sempre la notte dopo un concerto a Dallas e le ennesime violenze: «Mi restavano solo 35 cent e una macchina». Sopravvive attraverso ospitate in show tv, concerti a Las Vegas. Lascia a Ike le royalties dei pezzi ma intelligentemente mantiene il cognome. Poi la svolta dal soul al rock sanguigno ma anche ricco di ballate e pop.

IL VIAGGIO A LONDRA segna l’incontro decisivo con Terry Britten e Martyn Ware che le cuciono addosso Private dancer, 20 milioni di dischi venduti, il suo capolavoro con cui si guadagna 4 Grammy. «Grazie a Phil Spector – con cui realizza nel 1966 River deep, mountain high – che mi diceva di concentrarmi sulla melodia, avevo intuito che poteva esserci un altro modo di cantare, un altro modo di vivere». Il riscatto, il racconto di una metafora esistenziale ribadita nelle immagini della conferenza stampa del 1993 alla mostra di Venezia, per la presentazione di What’s love got to do with it al fianco di Angela Basset, dove è costretta per l’ennesima volta a scacciare il fantasma di Ike nelle domande su di lui: «Perché io ora sono un’altra donna».