Noi italiane, noi italiani, una storia dove tornare ce l’abbiamo, una Casa dove tornare ce l’abbiamo. Non c’è manipolazione di memoria che tenga. Sono troppo forti le fondamenta: sorte dal sangue della lotta al nazifascismo, dall’aver conosciuto cosa sia l’annientamento della libertà, e dall’aver protervamente scelto la democrazia. Cuore e riparo della Casa è la nostra Costituzione, esito di quella consapevolezza, del suo senso di responsabilità estrema. Certo, in tanti oggi siamo ammorbati da giorni assai poco eroici, dall’infimo spessore di tanta politica, quand’anche non criminale e per di più impunita, incapace di uscire da un blocco beckettiano di non azione. Ma ci sentiamo spaventati e privi di riferimenti, solo quando ci sembra di aver dimenticato da dove veniamo, il nostro tracciato più alto. Perché è lì che sono cominciate storie meravigliose. Dalla Resistenza in poi, Tina, e con lei le donne che ne sono state protagoniste, si sono prese cura della nostra democrazia. Tina Anselmi non ha mai mancato alle chiamate della storia ed è stupefacente scoprire quante siano state, perché il coraggio chiama il coraggio e l’azione il cambiamento. Anche quando le era richiesto di confrontarsi con le più imputridite e pericolose degenerazioni del nostro sistema democratico. Tutto questo senza mai perdere se stessa, la sua levità, la sua capacità di amare. Così adesso ci aspetta a Casa. Tante volte è già morta e sa che si può fare, allora ci invita ad andare oltre la paura.

La prima volta succede a 16 anni: settembre 1944, frequenta l’istituto magistrale a Bassano, quando i fascisti e i tedeschi la costringono ad assistere insieme alle sue compagne e al paese all’impiccagione di 43 ragazzi. Tra gli uccisi il fratello della sua compagna di banco. E già da questa prima morte muove in lei un’altra vita. Tu avresti il coraggio di fare la partigiana? Le domanda un’amica il cui fidanzato combatte sul Grappa. Tina è ancora adolescente, ma ha già l’autonomia per diventare, all’insaputa dei genitori, Gabriella, studentessa e «arcangelo», staffetta partigiana in bicicletta. Un giorno, per trasportare una ricetrasmittente, chiederà persino un passaggio a un camion di tedeschi, dicendo loro che la valigia pesa perché contiene i libri di scuola. Poi la partecipazione entusiasta alla ricostruzione. Non può ancora farlo di persona, perché non è maggiorenne, ma percorre le campagne della Castellana per convincere le contadine al primo voto delle donne e poi, come sindacalista, continua a darsi da fare per consentire a tante lavoratrici di emergere dal baratro della non esistenza; e lo stesso avviene con Lina Merlin e Ilda D’Este: insieme portano per la prima volta al centro dell’attenzione pubblica il vissuto delle prostitute, aprendo la strada alla legge Merlin.

Quindi anni di lavoro tanto meno sotto i riflettori, quanto più profondo nel modificare la vita democratica e i diritti delle donne (eletta nella Dc alla Camera dei Deputati per la prima volta nel ’68, con un mandato rinnovato per 6 legislature), fino alla partecipazione alla riforma del diritto di famiglia (1975), quindi alla nomina nel ’76: Tina Anselmi è la prima donna ministro, per di più di un ministero cruciale, quello del Lavoro. Quindi è ministro della Sanità, mentre leggi nodali portano la sua firma: quella sulla parità di trattamento lavorativo tra uomini e donne, quella che istituisce il Servizio sanitario nazionale e la 180.

Ancora: nei 55 giorni del sequestro Moro assume il delicato compito di essere ancora una volta «staffetta» tra la famiglia e la Dc. Poi l’impegno più estremo. È il 30 ottobre 1981, quando l’allora Presidente della Camera Nilde Iotti la chiama per proporle l’incarico di Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla Loggia massonica P2 di Licio Gelli. Si prende un quarto d’ora per decidere… Accetta. Saranno anni di acerrimo confronto con un potere occulto e parallelo che la relazione finale degli inquirenti (luglio 84), dimostrerà legato ai vertici delle istituzioni, della politica e dell’informazione, un progetto con finalità politiche di manipolazione della democrazia e della Costituzione, colluso con piani internazionali di eversione (la dittatura argentina), e con stragi che insanguinano quegli anni. Infiniti saranno i tentativi di ostacolare, e delegittimizzare il suo operato cui Commissione sarà sottoposta. Allora, ad eccezione dell’appoggio di Pertini, sarà sola, unica donna innanzi al grigiore di organigrammi di potere interamente maschili …

21 marzo 2013. Un treno mi ha portato a Castelfranco Veneto, il luogo dove Tina Anselmi è nata il 25 marzo 1927 e dove tutt’ora vive. C’è stato un lungo inverno e i giorni si sono susseguiti cupi, come strati di polvere a coprire i pori della pelle. Quando lei assunse la presidenza della Commissione di inchiesta sulla P2 avevo undici anni. Attraverso il tempo percepisco gli sforzi dei miei genitori per attutire a noi bambini il clima plumbeo di morti, l’affiorare di quel veleno, mentre mi galleggia in mente una sequenza di Un borghese piccolo piccolo: l’immagine della forfora sul tavolo, assurdamente riversata da un piduista, magistralmente interpretato da Romolo Valli. Fino a che punto quella forfora, insensata ossessiva sporca, quella banalità del male, è penetrata nella nostra democrazia? Che cosa accadrà a questo paese? Come, a partire dalla Resistenza, lottare contro le infinite resistenze sulla via delle donne e della democrazia?

Quella mattina l’aria ha deciso di aprirsi alla luce e la primavera di rispondere puntuale, come niente fosse. I suoi familiari sono venuti a prendermi. Un giro in macchina per quelle strade che l’ hanno vista agire le sue prime prove di donna libera, costeggiando il castello che custodisce i tesori di Giorgione, oggetto della sua tesi di laurea. Mi raccontano degli antenati, originari dell’Ungheria, di un padre antifascista, tessera del partito socialista firmata da Matteotti, di una lunga teoria di donne profondamente libere dentro, a cominciare dalla nonna per arrivare a Tina e alle sue sorelle, fino alle nipoti. Sono loro la sua anima pulsante, la terra dove è sempre tornata, un tessuto che l’ha sostenuta anche a costo di pesanti condizionamenti. Mi raccontano dei due attentati che Tina ha subito. Uno al tempo in cui era ministro della Sanità e sono arrivati a prometterle l’apertura di conti in Svizzera purché non firmasse la legge che metteva fuori dal mercato alcuni farmaci. Le fecero saltare la macchina mancando per pochi istanti l’obiettivo. Andò a firmare. In seguito, era l’8 marzo 1979, attaccarono la casa della sorella, contigua alla sua a Castelfranco. Quella sera lei, per un cambio improvviso di programma, non era presente e nel giardino, un ordigno era puntato per esplodere. Nessuno se ne accorse fino all’indomani, quando il cognato decise che era tempo di seminare il prezzemolo… Due anni dopo Tina accetta la presidenza della Commissione e lei e la sua famiglia sono rivoltati come calzini in cerca di qualcosa contro di loro. Non trovano nulla.

L’ho incontrata. Nella stanza densa dei suoi oggetti, dei libri, delle foto con Kennedy e con Papa Luciani. Tina non ha parlato. Tanto ha già detto. «… auguriamoci che sia dimostrato, fino in fondo, che l’intreccio della P2 con la vita del nostro paese è stato molto più vasto e profondo di quanto alcuni avessero voluto contrabbandare…». «La democrazia è un bene delicato, una pianta che attecchisce solo in certi terreni precedentemente concimati … attraverso la responsabilità di tutto un popolo». Si può dire tanto anche senza parlare. La tensione di spingersi fino a toccare i nuclei ultimi del potere è passata attraverso il suo corpo, che ora gradatamente congedandosi, tanto più esprime la forza e la bellezza di uno spirito che non si è mai piegato. Leggero come su quella bicicletta.

Non formulerò le mie domande a voce; pure risuoneranno nel nostro stare tra gli sguardi. Le leggerò invece una poesia che amo di Erich Fried, «… È avventato/dice la prudenza/ È impossibile/dice l’esperienza/ È quel che è/ dice l’amore». Proromperà in un sorriso. La democrazia ha i suoi attraversamenti dolorosi, come suggerisce il titolo di un bellissimo libro, l’azione di Tina Anselmi per l’Italia e quella di Aung San Suu Kyi per la Birmania in parallelo. Non possiamo accettare nulla di meno: nelle Notti della democrazia Tina è il nostro presidente, la nostra lanterna.