Una bandiera con un buco in mezzo. Son tante, son logore. È come se il simbolo assurto al ruolo di mito avesse questo volto. Sono le bandiere della Romania, alle quali – nei giorni dell’insurrezione del 1989 – venne strappato il simbolo del partito. Timisoara le conserva. Nella vetrina polverosa della sede dell’associazione dei detenuti politici, nel museo della Rivoluzione.

«La rivoluzione rumena del dicembre 1989 è stato l’ultimo grande evento della storia della città e il suo dramma e la sua gioia hanno ancora un’eco importante tra i cittadini di Timisoara. Tuttavia la rivoluzione non è più un tema centrale del discorso pubblico, ma piuttosto di quello storico e culturale». Adrian è un gigante, biondo e barbuto. È uno dei responsabili dell’edificio che ospita il Memoriale. Una ex caserma militare, nel giardino l’immancabile pezzo di muro di Berlino. La sede sarà trasferita un’altra volta, l’ennesima. Come se quel periodo fosse allo stesso tempo una fine e un inizio.

TIMISOARA, NEL 2021, sarà una delle capitali della cultura europea. Oggi è una città che sembra aspettare una gentrificazione che tarda ad arrivare. I voli lowcost ci sono già, le palazzine bellissime di inizio Novecento pure, ma sono ancora spoglie, abbandonate. Il centro, invece, attorno alle sue splendide piazze, è già una bomboniera. Tutta la memoria pubblica, toponomastica compresa, ha un grande rimosso: il periodo comunista.

È come se tra l’indipendenza del 1919 e il 1989 non fosse accaduto nulla, lotta contro i nazi-fascisti compresa. Anche la brochure, firmata dal sindaco, che accoglie i turisti, traccia la storia della città per sottrazione. Tutto è unico, in città, tranne quel che è stato. Un centro che ha vissuto al confine tra gli imperi, che è stata una piccola Vienna e che poi si è ribellato. Non una parola sugli anni del regime, non una parola sul presente, fatto di italiani che lavorano qui e milioni di rumeni che emigrano.

«LA MIA GENERAZIONE, nata negli anni Ottanta, ha una posizione intermedia tra le diverse culture della memoria, avendo vissuto l’ultimo decennio del comunismo da bambini, avendo vissuto l’esperienza della rivoluzione, ed essendo cresciuti nei cosiddetti tempi della transizione». Gruia Badescu è un ricercatore di scienze politiche. Studi alla London School of Economics, assegni di ricerca a Oxford e Parigi. Tutte soddisfazioni lontano dal suo paese. «Mentre persone che oggi hanno più di quarant’anni ricordano le privazioni degli anni Ottanta e le speranze dalla rivoluzione, la memoria della mia generazione è più focalizzata sulla difficile transizione degli anni Novanta, quando eravamo chiamati “la generazione del sacrificio”. Solo che noi ricordiamo anche la rivoluzione, a differenza di coloro che oggi hanno meno di 30 anni. La chiave di tutto è che in Romania l’austerità e l’oppressione degli anni Ottanta è continuata con l’austerità e la confusione degli anni Novanta. Molti hanno perso il lavoro, il denaro è svanito nelle piramidi finanziarie e, in ultima analisi, è svanita anche la speranza».

«LA RIVOLUZIONE è stata un climax di speranza, ma anche di incertezza. Per coloro il cui punto di riferimento sono gli anni ’90, così come la continua corruzione e le crescenti disuguaglianze di oggi, l’era comunista, con le sue politiche occupazionali sicure, ha ottenuto sempre più una narrazione positiva. Sempre più spesso, nella mia generazione, il malcontento per il presente ha creato narrazioni di un comunismo migliore di quello che molti nelle generazioni più vecchie ricordano. Il ricordo del 1989 è stato anche colto tra narrazioni contrastanti: la rivoluzione di successo che ha rovesciato il regime e la rivoluzione rubata, che è stata dirottata dalle ex élite del partito comunista e dalla polizia segreta. Non esiste memoria condivisa tra generazioni, è proprio la differenza di punti di vista e di esperienze vissute degli anni Ottanta che la rende difficile».

TIMISOARA FU LA PRIMA a insorgere contro il regime, quando venne imposto il trasferimento di Tokes Lazslo, un pastore protestante, una di quelle anime delle 29 minoranze linguistiche e delle 17 confessioni religiose che stratificano l’identità meticcia della città. Dall’assembramento sotto il balcone di casa del pastore, scoppiò la scintilla che dilagò in tutto il paese, aiutata dalle false notizie di massacri. C’erano vittime, tante, ma il tam tam della rivoluzione amplificò (aiutato dai giornalisti europei che arrivavano dal confine jugoslavo) tutto e tutto crollò.

Sobborghi di Timisoara, 23 dicembre 1989 (foto Ap)

A quel punto, dopo che un processo sommario portò all’esecuzione immediata del dittatore Ceausescu e di sua moglie, fu l’anarchia. E ancora Timisoara prese un ruolo decisivo, con quella che – divulgata l’11 marzo 1990, esattamente trenta anni fa – viene ricordata come la Proclamazione di Timisoara, un documento di 13 punti. La richiesta più nota del documento, al punto 8, chiedeva l’interdizione dai pubblici uffici per dieci anni per tutti gli individui che erano stati parte del Partito comunista rumeno o della Securitate, la polizia politica. Diffusa in molti paesi dell’ex Cortina di ferro con il nome di «lustrismo», è una pratica che tentò di arginare il “cambio di casacca” di molti ex dirigenti dei partiti al potere nel blocco orientale, che non riuscì granché bene.

«IN CITTÀ COME BUCAREST, Cluj o Timisoara, lo sviluppo economico permette una narrazione più glorificante della rivoluzione. Tuttavia, è anche in queste città sviluppate che una sinistra in ascesa, per lo più della mia generazione, sta contestando il racconto trionfalista del liberismo. Qual è stato l’obiettivo della transizione? La democrazia? La Romania contemporanea è stata una democrazia imperfetta, ma almeno ora si registra l’aumento dell’azione civica. All’economia di mercato? Una tremenda privatizzazione totale ha significato per la maggior parte dei rumeni la chiusura delle fabbriche e la perdita di reddito, oltre al ritiro dello Stato da molti ambiti, come l’istruzione e la salute. La Romania è passata da un estremo all’altro. Certo, l’adesione all’Ue ha avuto un ruolo importante nella trasformazione del Paese, come motore del cambiamento politico e socio-economico. Il nuovo mantra è quello della lotta alla corruzione. Quando nel 1990 Silviu Brucan, ex membro dell’élite al potere, disse che la Romania avrebbe avuto bisogno di almeno 20 anni per essere una democrazia molti erano arrabbiati. Oggi, dopo trent’anni, sanno che aveva ragione».

Arriva la capitale della cultura, si punta sul turismo. Che con la memoria raramente va d’accordo. «Nessuna speciale collaborazione con il Memoriale è prevista dal protocollo», commenta serafico Adrian.

UNO DEI MURALES URBANI più grande d’Europa sarà una delle attrazioni principali. Lo ha realizzato – tra gli altri – l’artista Alex Baciu. «Il ricordo della rivoluzione è stato purtroppo offuscato dal tempo e dalle immense possibilità che abbiamo avuto dopo gli anni ’90, rifiutando così i 45 anni del comunismo, ma beneficiando anche di tali vantaggi democratici. Quando sono stato chiamato per questo progetto – racconta Baciu – inizialmente ero confuso: molte cose si possono dire di Timisoara, dei suoi strati: l’epoca austro-ungarica, il periodo tra le due guerre, l’epoca comunista, durante la quale era un polo importante nell’arte, dove il gruppo Sigma e il gruppo 111 degli anni ’70, un gruppo di artisti della città che lavoravano nel campo delle sperimentazioni artistiche nel cinema, nella ricerca spaziale, nella landart, diventarono un punto di riferimento nell’avanguardia europea di quegli anni. Ma credo che non lo ricordi più nessuno».