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Timida, riservata e feroce Jane Wyman

Timida, riservata e feroce Jane Wyman

La star Interprete di celebri melodrammi negli anni ’40 e ’50, conquistò quattro premi oscar: un ritratto attraverso i suoi film

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 30 luglio 2022

A proposito di Magnifica ossessione, la sempre ottima Agnes Moorehead disse: «Non so quanto durante la lavorazione Sirk ci credesse veramente. Ci furono strane coincidenze e sentivo difficoltà a recitare la mia parte; non ero al meglio, ma Jane fu meravigliosa, come sempre, a trasformare orecchie di scrofa in borse di seta». Wyman credeva fermamente nel film, più di Douglas Sirk certamente, tanto da voler comparire nel trailer per raccontare agli spettatori «la storia d’amore più drammatica» mai realizzata fino a quel momento – anche se era un remake di Al di là delle tenebre (1935) con Irene Dunne e Robert Taylor. Magnifica ossessione risultò uno dei più grandi successi del 1954, l’immagine di Rock Hudson riuscì ad andare oltre quella di semplice beefcake e Wyman ebbe la quarta – e ultima – nomination agli Oscar come miglior attrice, nutrendo però sempre riserbo ogni qualvolta venisse interpellata sul progetto: «Era il periodo in cui rifacevo film di altre star e non ho mai pensato che un remake potesse catturare la freschezza dell’originale. E invece è stato molto più creativo migliorare un originale ’brutto’ rispetto a uno ’bello’».

Sarah Jane Mayfield, questo il suo vero nome (1917 – 2007; il cognome utilizzato lungo tutta la vita era quello del primo marito), non è mai stata una bellezza «da riflettore» e tanto meno una diva carica di glamour sulla quale imbastire aloni di mistero per accalappiare orde di fan invasati: viso squadrato, naso definito affettuosamente «a bottone», zigomi pronunciati e quella permanente con frangetta arricciata che le conferiva più austerità che innocenza – oltre a gonfiarle l’età (alcune fonti riportano erroneamente il 1914 come anno di nascita, caso raro in cui un’attrice si alza – anche se di poco – l’anagrafe). Tra la fine degli anni Quaranta e la metà dei Cinquanta ci ha però regalato interpretazioni intense e gradevoli, che sono poi entrate nell’immaginario da mélo fino alla riconsacrazione televisiva con Falcon Crest in cui vestì i panni della tremenda protagonista, Angela Channing, dal 1981 al 1990.

Dopo quasi 15 anni di gavetta con ruoli mediocri in film altrettanto trascurabili per la Warner (nel 1938, sul set di Brother Rat, incontrò Ronald Reagan, terzo dei suoi quattro mariti), Wyman riuscì a emergere solo nel 1945 con Giorni perduti di Billy Wilder. Di fascino ne aveva eccome, corroborato da un perfezionismo e da una professionalità diventati sue cifre distintive. Mentre l’allure delle colleghe (Joan Blondell, Alexis Smith, Ann Sheridan) cominciava ad affievolirsi, il suo iniziò a delinearsi sempre di più: dopo Wilder ci furono Clarence Brown (con Il cucciolo si guadagnò la prima nomination all’Oscar) e Jean Negulesco, che la diresse in Johnny Belinda (1948) nel ruolo della protagonista affetta da sordomutismo e vittima di stupro da parte di un bifolco. Lei vinse l’Oscar (quando salì sul palco si limitò a dire: «Ho vinto questo premio per aver tenuto la bocca chiusa, credo che lo farò ancora»), Negulesco invece venne licenziato da Jack Warner.

Ma nonostante la vittoria agli Academy e le sue quotazioni in ascesa, Wyman continuò a incarnare ruoli ordinari: non possedeva l’indole battagliera di Bette Davis o di Olivia de Havilland, non le importava combattere il dispotismo degli studi. Lavorò in Paura in palcoscenico (1950) di Hitchcock, il quale cercò di stemperare le tensioni tra lei e Marlene Dietrich nate, a detta di quest’ultima, quando seppe che Wyman aveva imposto il suo nome per primo sulla locandina. Nel ‘52 ricevette la terza nomination agli Oscar con Più forte dell’amore (il suo preferito), ma le interpretazioni maggiormente conosciute e apprezzate dal grande pubblico restano quelle dei mélo sirkiani trionfi del Technicolor, appunto Magnifica ossessione e, soprattutto, Secondo amore (1955) in cui è Cary Scott, vedova benestante di mezza età che s’innamora del suo più giovane e aitante giardiniere Rock Hudson (nella realtà avevano solo 8 anni di differenza); assieme combattono in nome dell’amore il pensiero miope e frustrato della provincia dove risiedono, compresi gli abominevoli figli di lei che cercano di farle dimenticare l’amato regalandole un televisore per Natale.

Wyman fu molto parca su Secondo amore (mantenne forse fede al discorso dell’Oscar), eppure questo titolo rappresenta la summa della sua caratura attoriale che, curiosamente, s’intreccia al privato; tortura ed estasi; una donna disposta ad alzarsi l’età, amorevole ma con rispettabile distacco, avvolta in tailleur eleganti, filo di perle al collo e spirito dedicato al sacrificio (nel ‘53 si convertì al cattolicesimo, nel ’60 girò Il segreto di Pollyana nel ruolo della zia zitella e bigotta).

A pensarci bene, mentre la figura di Wyman fa da ponte di collegamento, quanta ironia della sorte scorre tra l’affranta Cary riflessa sullo schermo del televisore e – dall’altra parte della barricata – la stronzissima Angela Channing protagonista di Falcon Crest, uno dei massimi successi seriali degli anni Ottanta. «Ho sempre sentito di essere sola all’inizio della mia vita; e che lo sarò altrettanto alla fine», rivelò in un momento di malinconia. Ma il pubblico, per fortuna, c’era e c’è ancora.

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