È finita come gli analisti immaginavano. Dopo tre anni di tribolazioni la storia da amministratore delegato di Tim di Luigi Gubitosi. Continua invece la crisi della più grande impresa di telecomunicazioni italiana, mai risollevata dalla privatizzazione. Lunedì i sindacati scenderanno in piazza per far sentire la protesta dei 40mila lavoratori a l’ennesimo governo non in grado di ridare una strategia nonostante l’occasione del Pnrr e della rete unica.

Nel giorno della firma del Trattato del Quirinale hanno dunque vinto i francesi di Vivendi – primi azionisti e in perdita, dopo il fallito assalto a Mediaset – respingendo l’attacco del fondo americano Kkr e il suo nebuloso interesse per l’acquisto della totalità di Tim.

ORA GLI AMERICANI, se veramente vogliono Tim dovranno alzare nettamente l’offerta dagli 11 miliardi ventilati e uscire allo scoperto con una vera Opa, magari alleandosi con. Cvc, altro mega fondo di investimento stavolta inglese, di cui altri rumors vociferano l’interesse per Tim.
Se Luigi Gubitosi sperava con la sua mossa di promettere il ritiro delle deleghe di aver ridato fiato alle possibilità sue e di Kkr, in giornata era già stata l’agenzia di rating Fitch a tagliare la testa al toro: «La potenziale acquisizione di Tim da parte della società di private equity Kkr, qualora proceda e aumenti la leva finanziaria della società, potrebbe avere conseguenze negative sul rating – è stato il giudizio impietoso a cda in corso – . Sulla base di recenti esempi di operazioni simili nel settore delle telecomunicazioni, – proseguono gli esperti di Fitch – le strutture di finanziamento tendono ad avere una significativa componente di debito che aumenta la leva finanziaria a livelli coerenti con i rating nella categoria B», quindi peggiorando il già non lusinghiero BB+ di Tim.

E DUNQUE IL CDA È FINITO come pronosticato dagli analisti alla vigilia. Il designato per sostituire Gubitosi è Pietro Labriola, ceo di Tim Brasile, unico paese estero in cui Tim è presente in maniera importante. Lo schema previsto si è puntualmente verificato: visto che Gubitosi non era intenzionato a rassegnare le dimissioni (ma solo a ridare le deleghe da amministratore delegato, rimanendo in cda) per cooptare un nuovo ad serviva il passo indietro di qualcuno e invece, come già accaduto più volte nella recente storia di Tim, ultima il 2018 con la meteora israeliana Amos Genish, si è deciso di assegnare temporaneamente le deleghe al presidente, Salvatore Rossi in attesa di trovare un sostituto. Intanto a Pietro Labriola viene già data la carica di direttore generale. Paradossale che nel 2013 proprio Labriola fu incaricato di guidare il gruppo di lavoro che preparò lo studio per la separazione della rete.

Sul tavolo del cda c’era anche il nodo dei conti con lo scostamento di qualche centinaio di milioni, in buona parte legato ai risultati deludenti della partnership con Dazn. Probabile, come voleva Vivendi, una nuova – e terza – correzione delle stime.

I PIÙ PREOCCUPATI SONO certamente i 40mila lavoratori, passati negli ultimi anni fra ristrutturazioni e contratti di solidarietà. I sindacati ieri hanno finalmente deciso di farsi sentire. Lunedì Slc Cgil Fistel Cisl Uilcom saranno in presidio al Ministero dello Sviluppo economico a partire dalle 9.30 e davanti alle prefetture di tutta Italia «per urlare tutto il loro sdegno di fronte all’atteggiamento del governo riguardo la vicenda della rete unica di Tlc e la situazione di forte conflittualità che è esplosa nuovamente in Tim. Evidentemente – continua la nota unitaria – si stanno pagando le scelte del “governo dei migliori” che ha abbandonato la prospettiva del rilancio di un modello partecipato dallo stato, quello del memorandum dell’agosto del 2020 (per la “rete unica” firmato da Gubitosi con i vertici di Cassa depositi e prestiti e anche con Kkr che è già in Fibercop, ndr) a vantaggio del modello delle tante piccole reti dove lo stato regala soldi ai privati, perde qualsiasi tipo di sovranità su un asset strategico come la rete ed aggrava il ritardo tecnologico del paese con la responsabilità dell’arretramento infrastrutturale del paese e, soprattutto, delle migliaia di esuberi del settore che inevitabilmente queste scelte produrranno», concludono.