Sarebbe stato sfiduciato oggi, Luigi Gubitosi. E allora l’ad di Tim inviso ai francesi di Vivendi, azionisti di maggioranza, cerca una mossa disperata per rientrare in gioco alla vigilia del cda. In una lettera ai consiglieri propone di rimettere le sue deleghe in cambio dell’impegno a valutare la – nebulosa – offerta di acquisto del fondo americano Kkr. «Se questo passaggio consentirà una più serena e rapida valutazione della non binding offer di Kkr – scrive – sarò contento». Già l’uso dell’espressione inglese – traducibile come «offerta non vincolante» – spiega la particolarità e la mancanza di trasparenza dell’operazione: se il fondo americano volesse realmente comprare Tim – azienda quotata in Borsa – avrebbe fatto un’Opa, offerta pubblica d’acquisto. Tanto è vero che molti hanno pensato che fosse lo stesso Gubitosi il motore dell’operazione per salvare se stesso – accuse «fuori luogo e false», ha scritto Gubitosi.
Difficile che il board – nel giorno della firma del patto del Quirinale fra Italia e Francia – lo ascolti anche se la complessità dell’azionariato dell’ex Telecom rende difficile fare previsioni. Un ruolo cruciale lo giocherà Cassa depositi e prestiti, secondo azionista, e dunque il governo stesso. Ieri l’unico a parlare è stato il ministro per l’Innovazione Vittorio Colao: «Siamo molto interessati a preservare la sicurezza e lo sviluppo dell’infrastruttura sul paese». Sullo sfondo della partita c’è infatti l’operazione «rete unica» per cablare il paese, con l’Italia molto in ritardo rispetto al resto d’Europa.