Public company o nazionalizzazione? Mentre Vivendi e Elliot, i due principali azionisti di Tim affilano le armi in vista dell’assemblea per il rinnovo delle cariche di Tim prevista il 4 maggio, la politica discute sulla natura dell’intervento di Cassa Depositi e Prestiti finalizzato all’acquisto fino al 5% del capitale. Un intervento salutato con favore, per ragioni diverse, dai vincitori del 4 marzo (Lega e Cinque Stelle) e dal governo uscente in nome di un interesse pubblico sulla rete fissa e sullo sviluppo di una in fibra di ultima generazione – il «5G».

Per il ministro allo sviluppo Carlo Calenda non è una nazionalizzazione. «Non stiamo mettendo lo Stato da nessuna parte ma supportando un progetto che prevede una public company, sogno proibito di ogni liberista ben educato» ha scritto su twitter. Calenda ha promesso a breve un intervento più «istituzionale». Il loquace ex commissario alla Spending Review, Carlo Cottarelli, ha invece detto: «Ho in generale una preoccupazione, maturata negli ultimi anni – ha detto – che si ricreino le partecipazioni statali».«Il controllo di un asset decisivo per la sicurezza nazionale come la principale rete Telecom deve essere dello Stato» ha detto Stefano Fassina (LeU).

Il dibattito si svolge in un clima ideologicoche contrappone un discorso neo-protezionismo contro il neo-liberismo e sembra trascurare il fatto che le maggiori potenze economiche nel mondo (dagli Usa alla Cina) sono già «protezioniste» e «liberiste». Tutte hanno l’interesse – e lo fanno pesare – a mantenere un presidio «strategico» in uno degli affari del futuro, quello delle infrastrutture digitali nelle quali scorrono anche la produzione dei contenuti che scarichiamo dagli smartphone.

Il Codacons che ha presentato un esposto per bloccare l’operazione, nell’ipotesi di insider trading. Da quando Cdp ha annunciato l’intenzione di cominciare ad acquistare, il titolo Tim ha fatto un balzo del 13,3% tornando a livelli che non vedeva da agosto 2017 (0,85 euro).