Ci sono delle volte che Aperitivo in concerto, la stagione jazz coordinata da Gianni Gualberto al Teatro Manzoni, offre anche il pranzo e la cena. Tim Berne col suo quartetto Snakeoil e Carlo Boccadoro col suo Ensemble Sentieri Selvaggi sullo stesso palco a rincorrersi, scoprirsi e forse integrarsi l’un l’altro. Tim Berne, americano, sessantenne, spigoloso jazzman della post-avanguardia, e Carlo Boccadoro, milanese d’adozione, cinquantunenne, compositore e direttore di un gruppo di solisti che si dedicano alla musica contemporanea sul versante minimalismo + neoromanticismo. Incontro che mette in campo l’annosa questione del rapporto in musica tra improvvisazione e scrittura sul pentagramma. Ma meglio sarebbe dire il rapporto tra un approccio jazzistico, cosa che non si esaurisce nel fatto di improvvisare oppure no, e approccio derivato da una pratica «dotta».

Il problema non è poi così arduo in un caso come questo. Il gruppo di Berne fa sempre largo uso di materiali scritti, è abituato a pensare la musica, in molte parti della sua produzione, come musica preordinata e, infine – fattore decisivo -, fa una musica che associa gli echi del bop e del free agli echi della contemporaneità «dotta», come del resto fanno quasi tutti i musicisti jazz di punta dall’avvento del free in poi. Dal canto suo Boccadoro è musicista, eclettico, spregiudicato ed è esperto di pratiche «extradotte», dal jazz al rock e derivati.
Quindi il flirt si può combinare. E promette di funzionare bene, cosa rara in questi tempi di caduta dell’eros. Il momento più importante e la prova di un amore felice è la composizione di Boccadoro intitolata Snakes. Un lavoro in sei movimenti, si direbbe una suite, per l’ensemble e il quartetto insieme, scritto appositamente per questa puntata di Aperitivo in concerto. Si ascolta nel secondo movimento un episodio danzante, un vero invito al jazz accettato da Boccadoro con leggerezza e impegno. Doti che si notano nello sviluppo complesso del brano sostenuto dalla scansione del batterista Ches Smith. Si pensa ad Andriessen e a Zappa, molto ancora si pensa all’autore Tim Berne (idioma del solismo all’altosax compreso). Si ammira l’originalità del risultato finale, perché Boccadoro sa omaggiare i suoi numi, e Berne è nel numero, per eleggere nume se stesso.

Il terzo movimento, un «largo», è pagina mirabile. Gli archi dell’ensemble (Piercarlo Sacco, violino, Aya Shimura, violoncello) con i clarinetti di Oscar Noriega, membro di Snakeoil, e di Mirco Ghirardini, membro di Sentieri Selvaggi, danno il via allo stabilirsi di un clima sonoro che comprende suggestioni impressionistiche e della Vienna rivoluzionaria del primo ‘900. Ma tutto è arricchito, senza contrasti, con abbandono, dagli interventi improvvisati di Noriega, un vero mago nel gruppo di Berne, capace di un lirismo intimo e quieto, lineare, come di uno sciogliersi nelle linee di suoni estranee all’ordine tonale. Interventi di improvvisazione jazz, non si può definirla in altro modo. L’empatia tra linguaggi catalogati come diversi è fortissima, il dialogo tra gli amanti di discipline artistiche diverse mantiene autonomia e produce piacere.

Il quarto movimento esibisce giochi brillanti e ficcanti di tastiere tra il pianoforte di Matt Mitchell (Snakeoil) e il piano elettrico di Andrea Rebaudengo (Sentieri Selvaggi). L’ultimo movimento è un esempio della politica efficace di Boccadoro: unisoni brevi in «ostinato» che desiderano assomigliare a quelli che si ascoltano dai gruppi guidati da Berne, procedimento per interpolazioni dei singoli strumentisti, più in rincorsa che in contrappunto. Nell’intera opera le parti improvvisate, o che sembrano tali, sono sempre affidate a Noriega e Berne, esperti jazzmen, autorità nel ramo, mentre l’unico solista di Sentieri Selvaggi chiamato a questo tipo di attività è il vibrafonista Andrea Dulbecco, a sua volta esperto jazzman, basta ricordare le sue esperienze con i gruppi di Giorgio Gaslini. Però si capisce che tutti i sei di Sentieri Selvaggi (la sesta, non certo in ordine di bravura e tantomeno di leggiadria, è la flautista Paola Fre) sono capaci di sintonizzarsi con lo spirito dell’improvvisazione, ed è su questo che Boccadoro conta per ottenere il successo veramente notevole della sua operazione creativa.

La prima parte del concerto è riservata al solo quartetto di Berne. Troviamo il leader più attratto del solito dal lirismo atonale e da atmosfere cupe. Persino accorato in qualche punto delle sue sortite in assolo. Sembra avere nel cuore – lui così «cerebrale», così cocciuto nell’antisentimentalismo, e con ottime ragioni – il Coltrane di A Love Supreme.