La notizia dell’invito di Kim Jong-un a Trump è arrivata che più inaspettata non si poteva.

Dall’inizio del mandato Trump ha sempre ripetuto che ricorrere alla diplomazia per trattare con la Corea del Nord non è che una perdita di tempo, scontrandosi con il segretario di Stato Rex Tillerson, che invece sull’uso della diplomazia ci contava, e che appena qualche ora prima dell’invito nord coreano aveva dichiarato: «In termini di colloqui diretti con gli Stati uniti siamo lontani dai negoziati».

TILLERSON in un’intervista con l’Associated Press, è parso voler minimizzare l’importanza dell’incontro, distinguendo tra «colloqui» con la Corea del Nord e «negoziati» a tutti gli effetti che, secondo lui, non è detto avverranno aggiungendo che a suo parere manca il tempo per preparare adeguatamente il presidente a questo incontro. Sulla preparazione concorda l’ex consigliere per la sicurezza nazionale di Obama, Samantha Vinograd, che afferma che non c’è «nessun modo che il presidente Trump possa essere pronto, entro maggio, ad avere un alto negoziato sulla denuclearizzazione nella penisola coreana».

LO SCETTICISMO è condiviso da buona parte del partito democratico e dai repubblicani più lontani da Trump, preoccupati delle mancanze nella formazione dell’attuale presidente Usa che non ha mai fatto mistero delle proprie lacune.

«In anni di rapporti con la Corea del Nord, ciò che ho imparato è che il regime non regala mai niente – ha affermato Victor Cha, ex direttore del Consiglio di sicurezza nazionale per l’Asia – Questo incontro solleva più domande che risposte, ma l’imprevedibilità di un incontro tra due leader non convenzionali offre opportunità uniche per porre fine al conflitto, il suo fallimento invece potrebbe anche spingere i due Paesi sull’orlo della guerra. I negoziati falliti a livello di vertice, lasciano le parti senza poter più farericorso la diplomazia».

A FAR SPERARE in un incontro positivo è la voglia di Trump di fare ciò che nessun altro presidente ha fatto, ovvero incontrare di persona un leader nordcoreano. Questo dato riflette un approccio audace ed estremamente sicuro di sé riguardo gli affari internazionali; che si tratti di pace o accordi commerciali in Medio Oriente, Trump ha affermato di poter ottenere ciò che è sfuggito a tutti quelli che l’hanno preceduto, attraverso la forza della propria personalità. Finora ha poco da mostrare al riguardo: deve ancora negoziare con successo nuovi accordi commerciali o rinegoziare quelli vecchi, il processo di pace tra Palestina ed Israele non sta andando a gonfie vele, ma potrebbe non voler dire niente.
«In questo incontro c’è una certa simmetria – ha affermato Wendy Sherman, ex diplomatico di lunga data che faceva parte di una storica delegazione americana a Pyongyang sotto la presidenza di Bill Clinton e in seguito ha negoziato l’accordo nucleare iraniano per il presidente Obama – Ci sono due leader che credono di essere le uniche persone che contano», e potrebbero capirsi.