È atterrata ieri a Città del Messico la prima delegazione Trump di alto livello per discutere i nuovi equilibri tra le due nazioni confinanti e divise dal muro, per ora solo virtuale, che il nuovo inquilino della Casa bianca ha promesso durante la campagna elettorale. Il Segretario di Stato statunitense Rex Tillerson e il segretario alla Sicurezza nazionale John Kelly dovrebbero incontrarsi con il presidente messicano Enrique Peña Nieto soltanto oggi. Il condizionale è d’obbligo visto che i diplomatici messicani hanno già fatto trapelare sulla stampa il peso imbarazzante sui colloqui degli ultimi provvedimenti anti-immigrazione, annunciati dall’ex generale Hohn Kelly ora alla guida della Homeland Security proprio alla vigilia della partenza, misure che pur escludendo deportazioni in massa di immigrati senza permesso di soggiorno negli States prevedono un aumento dei rimpatri anche per chi non ha commesso alcun crimine grave.

GLI INCONTRI di Kelly e Tillerson con le autorità messicane non partono sotto una buona luce anche per l’intervista rilasciata nei giorni scorsi dallo stesso Peña Nieto, nella quale il presidente ribadisce come sia «una questione chiusa» e comunque «di dignità nazionale» il rifiuto di contribuire finanziariamente alla costruzione del muro di recinzione alla frontiera. Peña Nieto, parlando delle relazioni con gli Usa, ha dichiarato che possono riconfermarsi come un rapporto «stretto, rispettoso e costruttivo» ma – ha aggiunto – «non è nemmeno da escludere l’altro scenario, quello di un deterioramento». Prima di imbarcarsi per il Messico, intervistato dalla Fox, John Kelly ha confermato che il muro si farà, che la sua costruzione inizierà entro pochi mesi e sarà completata in due anni. Ma in patria prevalgono gli scettici. Le agenzie governative lo considerano troppo costoso e di efficacia limitata.

La Cnn è venuta in possesso di un rapporto preliminare della Us Customs and Border Protection che definisce alla stregua di «una fantasia» la realizzazione della barriera integrale, da costa a costa. Costerebbe la cifra iperbolica di oltre 21 miliardi di dollari, quasi il doppio di ciò che prevede Trump. Anche senza contare che già oggi la parte realizzata, che si estende per 700 miglia, viene aggirata dai trafficanti di disperati attraverso una serie di tunnel, è molto difficile che il Congresso degli Stati uniti autorizzi una simile spesa.

SULL’ALTARE dell’ipotetico muro intanto è stata sacrificata un’altra testa. Craig Deare, che Trump aveva nominato solo un mese fa a capo della divisione del Consiglio per la sicurezza nazionale per l’emisfero occidentale, è stato licenziato per le sue critiche alla gestione della politica estera in particolare per quanto riguarda le relazioni con il Messico. Craig – che è il secondo nome a saltare nella Nsc dopo Michael Flynn inguaiato dai rapporti con Mosca- aveva detto al Wilson center, un think tank di Washington, di essere stato tagliato fuori dalle decisioni, prese solo dalla cerchia ristretta dei consiglieri di Trump: cioè lo stratega capo Steve Bannon e il genero del presidente Jared Kushner.

Nel dire questo Craig aveva aggiunto alcune considerazioni sull’avvenenza di Ivanka Trump, moglie di Kushner e figlia di Donald. Considerando che il delfino di Steve Bannon, Milo Yiannopoulos è stato costretto a dimettersi dalla direzione del principale think tank trumpiano, il sito Breitbart, per una dichiarazione imbarazzante che giustificava la pedofilia verso gli adolescenti, può anche darsi che far perdere il posto a Craig siano state le sue parole su Ivanka.

ANDANDO OLTRE le fumisterie deliranti anti-immigrati, islamofobe e razziste di Bannon, ciò che il presidente messicano e il suo ministro degli Esteri Luis Videgaray vogliono verificare è l’effettiva volontà della nuova amministrazione Usa di rottamare l’accordo di libero scambio, il Nafta siglato a tre (Usa, Canada e Messico) nel 1994. Trump ha annunciato di voler tassare al 35% i prodotti – soprattutto semilavorati – fatti in Messico e commercializzati negli Usa.

I NEGOZIATI SUL NAFTA sono attesi a giugno, ma l’incertezza data dagli annunci di Trump, secondo un’inchiesta del Washinton post (da ieri con la scritta sotto la testata «la democrazia muore nell’oscurità»), ha già congelato investimenti e assunzioni nelle «maquilladora», le manifatture tessili e di elettronica di base tra Ciudad Juarez e El Paso, dove per pochi pesos lavora oltre un milione di messicani.