A tre mesi esatti dalle elezioni, dalla procura di Manhattan è trapelata la notizia che i magistrati starebbero indagando Donald Trump per possibili frodi bancarie e assicurative. A riportarlo è stato il New York Times, che ha sottolineato che a capo della procura di Manhattan in questo momento c’è Cyrus Vance Jr., magistrato democratico, figlio di un ex segretario di Stato e, più di tutto, noto per aver gestito il dossier che ha portato all’arresto dell’allora direttore del Fondo monetario internazionale, Dominique Strauss Kahn.

QUESTA INCHIESTA è un allargamento notevole delle indagini già in corso per eventuali reati fiscali a carico del gruppo immobiliare e alberghiero di Trump. Fino ad ora l’indagine si è per lo più focalizzata sui pagamenti effettuati durante la campagna elettorale del 2016 a due donne che avevano dichiarato di aver avuto rapporti con Trump, ora, invece, anche se i pm non hanno esplicitamente menzionato le questioni sotto esame, visto che tali indagini per legge devono essere condotte in segreto, ma sembrano rivolgersi verso alcune «affermazioni indiscusse» presenti nei precedenti documenti giudiziari. Stando alle accuse, Trump, tramite l’azione di diverse aziende di sua proprietà, avrebbe illegalmente gonfiato i dati riguardo la sua ricchezza e il valore delle sue proprietà, al fine di ottenere prestiti più alti del dovuto. Vance avrebbe già richiesto a Trump di presentare le dichiarazioni dei redditi degli ultimi 8 anni, sia personali che della sua organizzazione, per accertare eventuali incongruenze.

LA NOTIZIA È ARRIVATA poco prima della conferenza stampa di Trump sul coronavirus, e come era immaginabile i giornalisti hanno chiesto a Trump di confrontarsi con l’argomento. La risposta di Trump è stata ugualmente prevedibile: Trump ha criticato l’indagine di Vance dicendo che «questa è solo una continuazione della caccia alle streghe». La Trump organization non ha immediatamente risposto alle richieste di commento, ma già la settimana scorsa gli avvocati di Trump avevano affermato che la citazione di Vance per i documenti fiscali del presidente era «sovradimensionata» e proposta in malafede, anche se questo processo è seguito a una decisione della Corte Suprema, risalente al mese scorso, in cui la Corte ha affermato che il presidente in carica non è immune da una citazione.

DURANTE LA STESSA conferenza stampa Trump si è trovato a confrontarsi anche con un altro argomento sensibile di questi giorni: la possibile acquisizione da parte di Mictosoft dell’app cinese di social network TikTok di proprietà di ByteDance, che The Donald aveva dichiarato di voler rendere illegale negli Usa per questioni di sicurezza nazionale.

Ora Trump ha confermato di non avere nulla in contrario riguardo a un accordo che permetta a Microsoft di acquisire TikTok, ma ha anche dichiarato che il governo americano dovrebbe ricevere una parte cospicua del pagamento, come ricompensa per l’autorizzazione della cessione. Trump ha espressamente sottolineato che senza il via libera della Casa Bianca l’operazione non sarebbe possibile, per questo una parte della transazione in qualche modo dovrebbe finire nelle casse del Tesoro Usa.

PECHINO NON LA PENSA esattamente così, e sul China Daily in un commento dedicato alle vicende di ByteDance, si legge: «La Cina non accetterà in alcun modo il furto» di TikTok. La Cina «ha moltissimi modi per rispondere se l’amministrazione statunitense porterà a compimento il suo programmato furto con scasso».

IL TYCOON AVEVA DATO 45 giorni di tempo a Microsoft per chiudere la trattativa per l’acquisto di TikTok, anche se il negoziato va avanti da prima dell’ultimatum di Trump, tanto che Microsoft, dopo un colloquio tra l’amministratore delegato del gruppo Satya Nadella e il presidente degli Stati Uniti, ha dichiarato di voler chiudere l’affare «al più tardi entro il 15 settembre».

Dalla notifica inviata alla Commissione per gli investimenti esteri negli Stati Uniti (Cfius) da parte tanto di Microsoft quanto di ByteDance, emerge l’apertura di Microsoft nei confronti della costituzione di una cordata con altri investitori che partecipino all’operazione con quote di minoranza.