Una vecchia legge del giornalismo suona più o meno così: «Il primo che dà la notizia ha ragione, gli altri devono provare a smentirla». Stavolta la smentita spetta a Tedros Adhanom Ghebreyesus potente capo dell’Organizzazione mondiale della sanità, accusato dal governo etiope di sostenere dal punto di vista diplomatico e militare (rifornimenti di armi), l’esercito del Fronte di liberazione del Tigray (Tplf) nel conflitto in corso nella nella regione. Il generale Berhanu Jula, capo di Stato maggiore dell’esercito etiope, non ha tuttavia fornito alcuna evidenza.

In un comunicato Ghebreyesus dichiara di «stare da una sola parte, la pace» e di essere «triste per ciò che accade nella mia casa, l’Etiopia». Con l’occasione chiede di «garantire la sicurezza dei civili e l’accesso all’assistenza umanitaria». Il primo capo africano dell’Oms, nominato nel 2017, volto noto da quando è in atto la pandemia da Covid, è stato per molti anni ministro della Sanità in Etiopia come membro del Tplf.

Tedros Adhanom Ghebreyesus (Ap)

 

Sul piano militare il governo federale avrebbe conquistato Shire, Adigrat e Axum, ma la marcia verso la capitale del Tigray (Makallè) sarebbe ostacolata dalla distruzione dei ponti messa in atto dall’esercito tigrino. Proseguono anche i bombardamenti soprattutto ad opera di droni che l’Etiopia avrebbe ricevuto dagli Emirati Arabi.

A livello internazionale il consigliere per la politica estera di Joe Biden, Antony Blinken ha dichiarato la sua profonda «preoccupazione per la crisi umanitaria in Etiopia» e ha fatto appello per porre fine ai combattimenti anche se ormai potrebbe essere fuori tempo massimo.

Anche il tentativo di mediazione dell’Unione africana è stato respinto dal governo di Addis Abeba perché in gioco non c’è il Tigray, una piccola regione dove vive solo il 6% della popolazione etiope, senza particolari risorse naturali, il fulcro è secondo il prof. Kassahun Melesse della Oregon University il controllo dell’economia dell’Etiopia, delle sue risorse naturali e dei miliardi di dollari che il paese riceve ogni anno dai donatori internazionali (in media, circa 3,5 miliardi di dollari all’anno solo di aiuti). Il Tplf ha controllato per quasi tre decenni questa ricchezza finché non è diventato premier Abiy Ahmed.

C’è poi il tema della proprietà della terra che per la Costituzione etiope è pubblica, il governo può darla in concessione (i piccoli agricoltori posso accedere gratuitamente) e questo ha dato negli anni un potere decisivo ai funzionari pubblici, che hanno affittato a grandi società milioni di ettari (le stime indicano 4 milioni, circa la superficie della Svizzera) accumulando miliardi di dollari nel processo. Last but not least prima dell’ascesa al potere di Abiy Ahmed, tutti i responsabili dell’intelligence e i capi militari provenivano dal Tplf (o erano membri dell’ala militare del partito durante la lotta armata contro Mengitsu).

Secondo Kassahun il Tplf interveniva anche direttamente nella selezione dei capi delle maggiori religioni, che considerava strumenti di controllo sociale (es. durante il governo del Tplf, entrambi i patriarchi della Chiesa ortodossa etiope provenivano dal Tigray).

Il governo di Abiy ha sistematicamente smontato il meccanismo di potere del Tplf oltre che con l’estromissione dei suoi funzionari dai ruoli chiave anche con importanti privatizzazioni (es. Ethio Telecom, Ethiopian Sugar Corporation) e con l’introduzione di nuove banconote che hanno avuto come esito il congelamento di molti conti bancari e reso carta straccia il contante sopra i 35 mila euro.

La guerra è conseguenza delle difficoltà di transizione democratica del potere in Etiopia (e in Africa in generale), i cambiamenti si fanno al suono delle armi, per questo non c’è mediazione che tiene.

La marcia verso Mekallè da parte dell’esercito etiope intanto prosegue, ma un esito è già chiaro: «La guerra è una cosa malvagia, fa sì che i fratelli combattano fratelli e i padri combattano i figli e ne abbiamo già viste troppe in Etiopia» ha dichiarato Aba Gebremichael, un monaco cristiano ortodosso.