La pista ciclabile si snoda lungo le anse del fiume Taro, affluente del Po e parte della nervatura fluviale che decorre nella pianura parmense. Costeggiato da golene di ciottoli e ghiaia, il tracciato segue gli argini del corso d’acqua inoltrandosi nella sconfinata “Bassa” anche evocata dal poeta Attilio Bertolucci, con i filari di pioppi, i fontanili e gli antichi casolari. Un territorio prezioso per la rara sintonia tra natura e presenza umana, habitat di specie protette e sede di importanti attività agricole legate alla produzione del Parmigiano Reggiano. Uno dei rari tratti di pianura scampati alla cementificazione massiccia. Almeno fino ad oggi. A poche centinaia di metri dalla Ciclotaro sorgerà un’autostrada.

Nascosto dalla fitta vegetazione, l’imponente cantiere della Tirreno-Brennero è operativo già da diverse settimane per la costruzione del ponte sul fiume, abbattendo alberi e lasciando presagire quale sarà l’impatto ambientale dell’opera. Un’opera anacronistica perché nata più di quarant’anni fa. Un’opera insostenibile perché riesumata nell’interesse di privati e finanziata da risorse pubbliche. Un’opera inutile perché incompleta.

Il Tibre autostradale è un’opera del secolo scorso. Attualmente prevede un collegamento di 85 chilometri tra Fontevivo, nel parmense, e Nogarole Rocca, nel veronese. Il primo progetto, incluso nella convenzione della concessione di Autocisa Spa, risale al 1974. Accantonato per anni, viene ripescato nel 2001 attraverso la legge obiettivo, mentre la famiglia Gavio, una delle maggiori concessionarie autostradali italiane, diviene principale azionista di Autocisa. Nel 2006 il governo Berlusconi accorda direttamente alla società 34 anni di proroga della concessione, in contrasto con la normativa europea che prevede la messa a gara.

Nei confronti dell’Italia parte la procedura d’infrazione, aggirata con una trattativa politica: il governo promette di realizzare il Tibre, Autocisa dovrà finanziare privatamente l’intera l’opera e presentarne il progetto definitivo entro il 2010. Ma le cose vanno diversamente. In quell’anno il Cipe approva il progetto del solo primo tratto, nove chilometri nel parmense, prevedendo un piano finanziario di 513 milioni, a carico di Autocisa. Al contempo lo Stato garantisce alla società: un incremento dei pedaggi del 7,5% annuo dal 2011 al 2018, contro una media del 2,9%; un contributo statale a fondo perduto di 900 milioni per la seconda tratta, nonostante non vi sia copertura finanziaria; 1,7 miliardi di indennizzo al momento della scadenza della concessione, senza copertura. Escludendo gli oneri finanziari, il costo complessivo dell’opera ammonta a 2,7 miliardi. Secondo i comitati contro le autostrade Tibre e Cremona-Mantova, di cui Cesare Vacchelli è portavoce, “l’aumento dei pedaggi incrementerà le entrate di Autocisa per più di un miliardo. Gli impegni con la Commissione europea risultano perciò doppiamente disattesi, poiché è stato presentato solo una parte di progetto entro il limiti stabiliti e poiché dai calcoli si deduce che il tratto di autostrada verrà finanziato con fondi pubblici. Senza contare che la nuova legislazione impone adeguamenti sismici molto più stringenti rispetto a quelli previsti”.

Il coordinamento dei comitati si muove da anni sul piano istituzionale per denunciare le irregolarità nell’iter di approvazione del progetto. Tra queste l’elusione degli accordi presi in sede europea, la defiscalizzazione prevista dal credito d’imposta ritenuto in contrasto con la normativa sugli aiuti di Stato, e la proroga delle concessioni autostradali prevista dallo Sblocca Italia. Parallelamente si sono svolte iniziative collettive e di sensibilizzazione, come la manifestazione di aprile 2015, sindaci dei comuni coinvolti in testa, e una partecipata serata di dibattito svoltasi a Parma.

L’alternativa sostenuta, oltre al potenziamento della viabilità ciclabile, prevede la realizzazione del Tibre ferroviario. “La conclusione della ferrovia Pontremolese tra La Spezia e Parma, proseguendo poi sulla linea per Brescia e passando per Piadena, permetterebbe di collegare la città emiliana con Verona. La spesa ammonterebbe a 1 miliardo e 80 milioni finanziabili con le maggiori entrate garantite dall’aumento dei pedaggi”, spiega Vacchelli. “Inoltre si tiene conto degli interessi in campo: Autocisa manterrebbe la concessione e Pizzarotti Spa, impresa aggiudicataria, potrebbe comunque realizzare i lavori tramite un accordo transattivo”. A settembre 2015 la giunta regionale propone la cancellazione del secondo tratto di autostrada dalla programmazione infrastrutturale: gli interessi della Regione guardano all’asse Tirreno-Adriatico e alla realizzazione della Cispadana. Ma la proposta non viene ben accolta a Parma dove avviene una “levata di scudi dei poteri forti”, sulla stessa scia i principali media locali e la maggioranza del Pd provinciale che creano un’armatura politica attorno al Tibre autostradale. Il 26 ottobre nell’arco di una mattina, in Provincia vengono convocati sia il Consiglio sia l’Assemblea dei sindaci, per esprimersi sulla cancellazione del Tibre dal piano regionale. Mentre il Consiglio si svolge approvando la mozione a favore dell’opera, l’Assemblea dei sindaci viene cancellata all’ultimo. Il pretesto è l’aggiunta di un emendamento non inserito all’ordine del giorno.

Nel pomeriggio l’Assemblea regionale ripristina il secondo lotto del Tibre nelle opere secondarie, quelle non finanziabili. “Una pagina nera per la democrazia a Parma – dice Vacchelli -, un giochetto stabilito a tavolino per impedirci di cancellare definitivamente l’autostrada. Se l’Assemblea si fosse svolta avremmo ottenuto la maggioranza, anche grazie alla presenza del Comune di Parma che ha un peso maggiore nel conteggio dei voti. Ma lo stesso sindaco Pizzarotti sapeva che non ci sarebbe stata e non si è presentato”. Il primo cittadino, che in diverse occasioni si è dichiarato contrario al progetto e favorevole alla ferrovia, dichiara di aver appreso “prima informalmente, poi tramite lettera ufficiale” del rinvio dell’Assemblea. Un nuovo affondo arriva ad aprile di quest’anno, quando il costruttore Paolo Pizzarotti, patron dell’omonima azienda, dalle colonne della Gazzetta di Parma di cui è Consigliere di amministrazione, accusa di ostruzionismo il sindaco Pd di Colorno, Michela Canova, per aver espresso voto contrario all’opera in Consiglio. Interviene il Pd provinciale a placare gli animi ribadendo l’appoggio al progetto autostradale. La Provincia è legata al progetto sin da prima di divenire area vasta, quando l’ente possedeva quote azionarie di Autocisa poi vendute. L’ex presidente Pd Vincenzo Bernazzoli, è tutt’ora vicepresidente e membro del comitato esecutivo della società concessionaria.

La blindatura politica costruita attorno al progetto interessa diversi livelli istituzionali. A febbraio, una delegazione del coordinamento incontra a Roma due manager del ministero per esporre le proposte alternative. Nonostante queste siano definite “suggestive” a luglio viene approvato il progetto esecutivo del primo lotto. E’ Autocisa a darne notizia. Ad oggi, infatti, gli atti ministeriali non sono stati resi pubblici. “Siamo di fronte all’ennesimo caso di opacità istituzionale”, sostengono Patrizia Gaibazzi assessore di Sissa-Trecasali e Flavia Corradi membro del coordinamento che annunciano un probabile ricorso al Tar.

Nel frattempo nel comune di Sissa-Trecasali sono apparse ruspe e recinzioni dando inizio ai lavori per la costruzione del ponte sul Taro, all’insaputa della maggior parte dei cittadini. “Un doppio dolore”, commenta Rolando Cervi, presidente del Wwf di Parma, riferendosi all’impatto dell’opera su un’area miracolosamente risparmiata dalla cementificazione della pianura padana. “E’ un territorio immagine del passato ma anche del futuro, per l’armonioso equilibrio tra valore naturalistico e uso agricolo del suolo”. Sono infatti minacciati due siti Natura 2000, aree istituite dall’Unione Europea in difesa della biodiversità. In queste zone vivono numerose specie tutelate, tra cui il falco cuculo, protetto dal progetto Life. Si tratta di una delle poche colonie presenti in Europa occidentale, i cui filari e aree di nidificazione si troverebbero a pochi metri dall’autostrada. Ad essere compromessa sarebbe anche l’economia locale: prati stabili e foraggi ‘nobili’ essenziali per la produzione del Parmigiano Reggiano verrebbero calpestati non solo dal tracciato autostradale ma anche dai tre chilometri di viabilità complementare.

Non trattandosi di riserve o parchi, permane la possibilità di costruire in seguito ad una valutazione di incidenza e un’adeguata previsione di mitigazione degli impatti ambientali. Ma nell’ultima valutazione, che risale al 2005, non è previsto alcun impatto e tantomeno alcuna opera compensativa. “Si tratta di un documento datato e incompleto, prodotto da Autocisa in un secondo momento – specifica Enrico Ottolini delegato regionale Wwf – bypassando la procedura pubblica che ci avrebbe permesso di esprimerci nel merito. Non essendo stata applicata in modo corretto la norma che prevede la valutazione d’incidenza è probabile che verrà avviata un’altra procedura d’infrazione”.

Di recente a Parma è nato un comitato ‘No tibre’, in dialogo col coordinamento, in cui si riflette a forme di lotta meno istituzionalizzate. Ma poche sono le persone a conoscenza dei fatti, a causa del silenzio mediatico calato sui fatti. “Qui di strade ce ne sono già molte, ma tanto nessuno ti ascolta e se vogliono le fanno lo stesso”, lamenta un’anziana residente mentre apprende dell’esistenza del cantiere a pochi metri in linea d’aria dalla sua abitazione.