C’è un’ipotesi per l’incidente avvenuto lunedì a Pechino, nel luogo simbolo della capitale e dell’intera Cina. Secondo indiscrezioni la polizia cinese avrebbe prodotto un documento nel quale ci sarebbero i nomi dei due sospettati di essere i responsabili – o quanto meno collegati – allo scoppio dell’auto avvenuto in piazza Tiananmen. Incidente clamoroso, unico nel suo genere, che ha ucciso cinque persone, provocando trentotto feriti.

I due sospettati sarebbero Youssef Ashanti e Youssef Oumarniaz, provenienti dalla regione autonoma del Xinjiang, a maggioranza musulmana. Uno dei due sarebbe originario della zona di Lukeqin, dove nel giugno scorso scontri etnici produssero una trentina di morti. La polizia cinese – nonostante i media di stato parlino ancora di «incidente automobilistico» – ha chiara dunque la matrice indipendentista di quello che viene considerato a tutti gli effetti un attentato. Insieme all’ordine di ricercare i due individui, la polizia ha infatti chiesto a tutti gli hotel di verificare la presenza di persone sospette, lasciando intuire che sulla provenienza dell’auto protagonista dell’incidente non ci sarebbero dubbi: i quattro numeri riconosciuti della targa sarebbero proprio identificativi della regione autonoma del Xinjiang.

Il giorno dopo la misteriosa dinamica che ha portato l’auto a schiantarsi sulla folla, per finire la propria corsa proprio nei pressi del ritratto di Mao che annuncia l’ingresso alla Città Proibita, sono emersi nuovi particolari. Intanto, si è appreso che dall’altra parte della piazza, dove aleggia l’immensità della Grande Sala del Popolo, era in corso una riunione dei sette membri della Commissione Permanente del Politburo cinese. A pochi metri dal luogo dell’incidente erano radunati i vertici del paese: ci si può immaginare dunque cosa abbia significato lo scoppio, le ambulanze, l’arrivo della polizia in uno dei luoghi più controllati in assoluto del paese. Secondo indiscrezioni raccolte dalla Xinhua, l’agenzia di stampa ufficiale, uno dei funzionari di alto rango presenti nella Sala del Popolo, si sarebbe anche recato sul luogo dell’incidente. Le testimonianze, tutte rigorosamente anonime, raccolte dai quotidiani locali – molte delle quali prese direttamente da Weibo, il twitter locale, non hanno in alcun modo chiarito la dinamica, la traiettoria e la modalità con la quale l’auto sarebbe prima finita sui turisti, e infine esplosa. «Ho sentito il clacson della vettura, ma l’ho notato troppo tardi, sono svenuta e quando mi sono svegliata di nuovo ero completamente a terra», ha raccontato il Nandu Daily di Canton citando una donna filippina rimasta ferita. Altri su Weibo hanno raccontato di aver visto un Suv bianco andare a velocità sostenuta verso la folla di turisti e quindi percorrere tutta la strada verso il guardrail del ponte Jinshui prima di finire in fiamme. Alcuni testimoni avrebbero affermato di aver visto la polizia inseguire l’auto. Confusione nei racconti e nella dinamica, a conferma di quanto sia difficile ottenere informazioni precise sull’accaduto, complici anche i solerti censori cinesi che hanno provveduto per tutta la giornata di ieri a cancellare dall’internet ogni foto, video, testimonianza che potesse rendere più chiaro quanto successo. Rimane solo il tweet ufficiale della polizia pechinese su Weibo, secondo il quale un’ora dopo l’incidente, la situazione sarebbe tornata alla normalità.
La pista uighura al momento appare quella più credibile, anche per la modalità di un eventuale attentato che rispecchia altri tentativi del genere: nel 2009 un’auto con a bordo tre xinjianesi, diretta a Tiananmen, venne fermata nei pressi di Wangfujing; le persone all’interno dell’abitacolo si diedero fuoco.

Quello di lunedì è un evento clamoroso, accaduto in uno dei luoghi più sorvegliati del pianeta: eppure in Cina negli ultimi tempi non sono mancati i gesti in grado di perforare gli imponenti sistemi di sicurezza di Pechino. Nel 2011 una petizionista – ovvero quelle persone che dalle province remote, seguendo una tradizione imperiale giungono nella Capitale per presentare una lamentela nei confronti delle autorità locali – si era data fuoco proprio nei pressi del ritratto di Mao, nello stesso luogo nel quale è avvenuto lo scontro lunedì. Pochi mesi fa, invece, un cittadino aveva fatto esplodere un ordigno nella sala degli arrivi dell’iper controllato aeroporto di Pechino. Controllare tutti è impossibile, ma la dirigenza cinese sembra non porsi limiti: l’evento dell’auto in fiamme e l’imminente terzo Plenum del Partito Comunista cinese, renderanno semplicemente – e se possibile – ancora più paranoici del solito, i controllori cinesi.