Piano B Edizioni è una factory editoriale con sede a Prato, da dodici anni si dedica alla pubblicazione di voci che s’interrogano sulla storia dell’uomo di fronte alle sfide del proprio tempo. Nel corso delle ultime stagioni ha dato alle stampe libri fondamentali, veri e propri manifesti dell’ambientalismo quali Pensare come una montagna di Aldo Leopold (titolo originale A Sandy County Almanac, a settant’anni dalla sua uscita nel 1948), il discusso I diritti della natura (Wild Law) di Cormac Cullinan (tradotto oltremodo dall’autore Davide Sapienza), Il mare intorno a noi di Rachel Carson (già autrice di Primavera silenziosa), L’unico mondo che abbiamo del contadino, poeta e intellettuale del Kentucky Wendell Berry, Selvaggi. Il rewilding della terra, del mare e della vita umana dell’ambientalista britannico George Monbiot, Mai gridare al lupo dell’etologo canadese Farley Mowat. Ma è alla voce senza tempo di Henry David Thoreau che la casa editrice pare avvocarsi, pubblicandone diverse opere, l’ultima delle quali è Io cammino da solo. Journal 1837-1861, selezione dei suoi diari. Quella che segue è un’intervista al curatore del volume, il torinese Mauro Maraschi.

T.F.: «Il silenzio è un rifugio universale da tutti i discorsi aridi e da tutte le azioni insensate, è un balsamo contro ogni mortificazione.» «Credo che per essere davvero soli sia necessario fuggire dal presente, liberarsi di se stessi.» E ancora: «Il talento si forgia nella solitudine, il carattere nella corrente del mondo». Ovvero l’arte di coltivare la propria solitudine. Perché oggi si insiste così tanto sul ritorno alle parole di questo piccolo uomo del Massachusetts, che rifiutava la società e le consolazioni del proprio tempo per una vita agreste, silvana, selvatica?

M.M.: I motivi per leggere e citare Thoreau sono sempre tanti. Thoreau è l’emblema di un discorso ecologico che negli ultimi anni ha conquistato una voce nuova, più forte: abbiamo assistito a un’ondata di ritorno alle campagne e alla diffusione di stili di vita “alternativi”, ma anche alla moda di un naturismo che troppo spesso si fonde col marketing; in generale, dell’ecologismo si parla sempre di più, e in modo sempre più pragmatico, anche in relazione alla minaccia del riscaldamento globale e sotto la spinta di nuovi immacolati paladini della natura. Inoltre sempre più persone si rifiutano di sacrificare la propria vita al capitalismo e alla cronofagia dei social. Ma su tutti questi versanti Thoreau è valido soltanto in quanto icona, e fare un parallelo diretto tra la sua visione pionieristica e la condizione attuale significa sminuire i problemi peculiari di quest’ultima. Un altro motivo per rileggere Thoreau è la percezione diffusa che le persone abbiano perso confidenza con il silenzio e la solitudine. Nei giorni di isolamento forzato che stiamo vivendo, non fanno che arrivarci consigli su come far passare il tempo – leggendo un libro, guardando la tv, preparando una torta, rispolverando i giochi da tavolo, facendo videoconferenze con tutti i parenti fino al settimo grado di separazione. Si dà ormai per scontato che nessuno sia in grado di stare a casa e limitarsi a dialogare con i suoi cari, ad accudire chi ne ha bisogno o anche a non fare assolutamente nulla, a rilassarsi, a pensare e persino a meditare. Diceva qualcuno: «La gente vorrebbe vivere per sempre, ma poi non sa cosa fare la domenica pomeriggio se fuori piove». Mi sembra l’occasione giusta per re-imparare a stare soli senza farsi intrattenere da niente e da nessuno. Ecco, prima ancora che a riconciliarsi con la natura, Thoreau invita i suoi lettori ad ascoltare se stessi, a volersi bene e a elevarsi, come direbbe lui.

T.F.: Che cosa ci dicono i suoi Journals che le opere più note – Camminare, Walden, Disobbedienza civile – non ci raccontano?

M.M.: Partiamo dal presupposto che i diari di Thoreau non sono scritti privati, bensì una sorta di fucina nella quale Thoreau si affinò come scrittore (e come uomo) nel corso di venticinque anni, rileggendosi, editandosi e mettendosi in discussione. Ma nonostante il chiaro intento di evitare i riferimenti espliciti al vissuto personale, i diari trasudano comunque i punti deboli e – di conseguenza – la vera umanità dell’uomo, per forza di cose omessi dalle opere compiute. I detrattori di Thoreau lo considerano pedante e contraddittorio, ma i diari testimoniano quanto fosse autocritico e disposto ad ammettere i propri fallimenti, tra cui le tante amicizie naufragate, la difficoltà di affermarsi in quanto scrittore e l’incapacità di adottare fino in fondo il suo stile di vita ideale. Nel 1852, a trentacinque anni, scriveva: «Ora, se qualcuno pensa che io sia vanaglorioso, che mi ponga al di sopra degli altri e ne giudichi la miseria, permettetemi di dirgli che potrei riferire una considerevole lista di fallimenti e che, probabilmente, ho di me stesso un’opinione peggiore della sua, poiché ho avuto più tempo per conoscermi».

T.F.: Secondo lei, che cosa ci attira del suo modo di sentire e di dire le cose?

M.M.: Uno dei tanti motivi è che Thoreau attinge alla saggezza millenaria dei testi sacri da lui studiati («Amo Brahma, Hari, Buddha e il Grande Spirito quanto amo Dio»), e attua un interessante tentativo di adattarla alla contemporaneità. All’inizio il journal è pieno di slanci lirici, citazionismo, passaggi dai molteplici piani di lettura, affermazioni oracolari e così via; ma nel tempo Thoreau ha sempre inseguito la semplificazione, che alla fine ha reso così incisive le sue massime. Questa incisività è anche frutto di uno specifico metodo di scrittura, basato sulla periodica selezione dei passaggi più riusciti, magari testati davanti a un amico o al pubblico di una conferenza. Thoreau fu un ottimo editor di se stesso, e in un certo senso i suoi diari sono un buon manuale di scrittura.

T.F.: Leggendo le sue osservazioni, Thoreau esalta lo spirito tonificante del solitario, è presente nella sua visione del mondo una critica costante al resto della società, che viene vista come una banale aggregazione di umani e interessi, mai come una società coesa. A mio parere questo è uno dei limiti della sua visione, è anche un errore. Ma a parte questo, ora che l’umanità si ritrova, come dicono in molti, sull’urlo dell’estinzione, e che quindi deve assolutamente cooperare, leggere Thoreau ci può aiutare? Oppure no?

M.M.: Nella peggiore delle ipotesi, leggere Thoreau ci può aiutare nella misura in cui, come lui, si è disposti a credere a una qualche forma di reincarnazione. Per il resto, la sua critica della società va contestualizzata in un periodo storico di grandi cambiamenti, nonché messa in relazione con un profilo psicologico complesso e la sua sensazione che «la società pronta ad accoglierlo non fosse ancora nata». In ogni caso, va chiarito che Thoreau non odiava le persone quanto gli automatismi di cui erano schiave, e che voleva “minare le fondamenta” della Chiesa e delle altre istituzioni umane proprio per risvegliare la massa e darle gli strumenti per sottrarsi ai soprusi. Credo che da questo punto di vista Thoreau sia più attuale che mai.