Mentre la prosa di Thomas Pynchon continua a esercitare una fortissima attrazione sulla narrativa contemporanea, al punto che l’aggettivo «pynchoniano» è diventato sinonimo di estrema complessità strutturale, enciclopedismo erudito e sperimentazione linguistica al servizio di una fantasia sfrenata e irriverente, in Italia la frammentata storia editoriale dello scrittore americano accusa qualche scarto significativo nella ricezione: basterebbe a ricordarlo il fatto che il suo romanzo più importante, L’arcobaleno della gravità, è stato tradotto solo nel 1999, ventisei anni dopo la pubblicazione originale.

Da qualche anno Einaudi sta raccogliendo sotto l’ala dello struzzo anche quelle opere di Pynchon precedentemente pubblicate da altri editori; dopo la ristampa del suo romanzo d’esordio, V., ora esce Contro il giorno (traduzione di Massimo Bocchiola, p. 1152, € 22,00) l’ultimo dei grandi romanzi storici dello scrittore statunitense, uscito nel 2006, alla vigilia dei suoi settant’anni; nel canone pynchoniano Contro il giorno assume un ruolo centrale, il perno intorno cui ruota la carriera dello scrittore per proiettarsi nel nuovo millennio.

Il dono dell’ubiquità
La frase in epigrafe attribuita al jazzista Thelonius Monk – «È sempre notte, altrimenti non ci servirebbe la luce» – anticipa la dialettica della trama, ambientata a cavallo tra Ottocento e Novecento e centrata sui disperati tentativi di contrastare la travolgente ascesa del capitalismo da parte delle contro-forze anarchiche e proletarie, storicamente destinate al fallimento. Come suggerisce il termine francese contre-jour, il romanzo racchiude all’interno un romanzo fantasma che si svolge in «controluce» rispetto agli avvenimenti principali. I continui riferimenti al «misterioso potere sciamanico noto come bilocazione, che comporta il dono di essere letteralmente in due o più luoghi, spesso molto distanti, nello stesso tempo», segnalano che lo sdoppiamento spazio-temporale è parte integrante del meccanismo narrativo.

Nelle oltre mille pagine del romanzo, infatti, Pynchon riflette in controluce sull’America post-11 settembre e sulla nuova coscienza storico-letteraria derivata dagli attentati: il narratore strizza ripetutamente l’occhio al lettore contemporaneo, impiegando parole-chiave anacronistiche, alludendo in modo obliquo al crollo delle Torri (nel racconto della distruzione improvvisa di una città simile a Manhattan) e motteggiando i discorsi sulla «guerra al terrore» che infiammano la politica e l’opinione pubblica (due personaggi definiscono il crollo del campanile di San Marco durante una battaglia aerea «un incidente di guerra»).

Più che a fornire un’accurata ricostruzione degli eventi o a contestarne la versione ufficiale, Pynchon ambisce a far emergere, nei suoi romanzi, il sottotesto finzionale alla base di ogni narrazione storica. In Contro il giorno non si accontenta di rivisitare il passato alla luce del presente, ma si appropria, parodiandoli, dei generi letterari in voga all’epoca degli eventi descritti, mentre trasforma il romanzo in una «biblioteca virtuale della letteratura d’intrattenimento», a cavallo tra Ottocento e Novecento.

Le vicende narrate vengono viste dall’alto dai «Compari del Caso», un gruppo di avventurieri adolescenti usciti da una serie di libri per ragazzi di fine secolo, che viaggiano per il mondo su un’aeronave di loro invenzione eseguendo missioni impartite da una misteriosa autorità sovranazionale.

Allegorie della Storia
Tra gli altri generi rivisitati da Pynchon in Contro il giorno, l’epopea Western domina la prima parte, che evolve in una sordida tragedia famigliare di vendetta e redenzione e si trasforma poi in un romanzo di formazione; dopo coinvolgenti avventure à la Stevenson e diversi sconfinamenti nel fantastico – con i personaggi che si spostano in scenari sempre più esotici tra agenti segreti, intrighi internazionali e incontri romantici – la narrazione sfocia infine nel noir: le ultime pagine del romanzo raccontano il trasferimento a Los Angeles di uno dei personaggi, che da agente operativo di un’agenzia investigativa stile Pinkerton, impiegato a scovare anarchici e a reprimere scioperi, diventa investigatore privato.

La versione letteralizzata di una situazione inizialmente presentata come metaforica resta tra le strategie narrative impiegate con maggiore frequenza da Pynchon; lo straniamento del lettore deriva in parte dalla difficoltà di accettare i suoi repentini e frequenti slittamenti semantici senza mai perdere il controllo della trama. Per la prima volta, tuttavia, in Contro il giorno l’autore sembra venirci incontro fornendoci chiavi di lettura metatestuali utili a decifrare i nodi più complessi della sua poetica e aprendo così la strada ai romanzi successivi, apparentemente più accessibili e perciò liquidati da qualche critico meno attento come «poco pynchoniani».

Nell’episodio in cui il transatlantico Stupendica si trasforma nella nave da guerra Imperator Maximilian, «una delle corazzate monocalibro da 25.000 tonnellate previste dai programmi navali austriaci ma, almeno a quanto dice la storia ufficiale, mai costruite», la scena si apre con la giovane Dally che a bordo del transatlantico incontra l’affascinante Kit e se ne innamora, lasciando prefigurare sviluppi romantici in stile Titanic. Ma l’uomo non è interessato alla ragazza e fa di tutto per evitarla, finché il narratore avverte: «Incominciò a sembrare che lei e Kit fossero su due navi diverse, due distinte versioni della Stupendica, che si allontanavano lentamente su rotte separate, ciascuna verso un differente destino».

Dopo essere indotto a considerare questa affermazione come una allegoria dei sentimenti divergenti dei personaggi, il lettore vede la valenza allegorica estendersi alla dimensione storica: «dopo il 1914 alcuni bastimenti di linea sarebbero stati trasformati in trasporti-truppe, altri in navi-ospedale».
Difficile prevedere che di lì a poco la trasformazione avverrà nel concreto: alla notizia dello scoppio della guerra, infatti, si legge, «interi ponti cominciavano a scivolare poderosamente, ripiegarsi e ruotare, e i passeggeri si ritrovarono, spesso con effetti mortali, sulla strada di questa tonante e stridente metamorfosi d’acciaio». In questa stessa condizione si trova il lettore, stritolato da una scrittura che lo confonde presentandosi al tempo stesso come reale e metaforica, e costantemente «bilocata» tra passato e presente.

Tagliare la fune
Il transatlantico che diventa corazzata è a sua volta metafora dell’intero romanzo, una struttura in movimento e in continua trasformazione simile all’aeronave all’idrogeno dei Compari del Caso, che sorvola il panorama della storia occidentale all’alba del secolo americano, passando dai padiglioni risplendenti dell’Esposizione Mondiale Colombiana del 1893 ai campi di battaglia europei della Grande guerra.

A ben guardare, Contro il giorno si presta a venire letto come la traduzione narrativa della famosa metafora usata da Henry James per descrivere il romance: «pallone dell’esperienza» ancorato alla terra da una fune di notevole lunghezza. «Ma è in virtù della fune che sappiamo dove siamo», scrive James nella prefazione a L’americano, «e dal momento che il cavo viene tagliato siamo al largo e senza rapporti». Nell’incipit di Contro il giorno, una voce impone ai Compari del Caso (e soprattutto al lettore) di tagliare quella fune: «Ora, dimezzare gli ormeggi e occhio a tutti i passi!» – la mongolfiera dell’immaginazione di Pynchon è pronta a sollevarsi.