«Fratelli miei, fascisti, terroristi, nazisti, teppisti». Con queste sconvolgenti parole ha iniziato il suo ultimo discorso pubblico Mikis. Era il 4 febbraio 2018 e la centralissima piazza Syntagma era strapiena di manifestanti che protestavano contro l’accordo sul nome della Macedonia del Nord appena sottoscritto dall’allora governo di Alexis Tsipras. Più tardi egli spiegherà che era ironico, ma il fatto che buona parte della folla davanti a lui era effettivamente composta da militanti di Alba Dorata, che presto tenteranno l’assalto all’odiato Parlamento, ha reso la sua battuta terribilmente dolorosa.

Theodorakis non si era certo convertito al fascismo come un novello Bombacci. Vederlo però seduto sul palco, a 94 anni, sulla sedia a rotelle, circondato da isterici ultranazionalisti, preti scismatici, nostalgici dei colonnelli e balordi di ogni tipo, faceva tristezza. Cosa era successo al più grande musicista del paese, al sommo artista che aveva cantato l’eroica resistenza contro il fascismo, alla quale aveva preso parte, e aveva messo in musica i versi di giganti della poesia, come Pablo Neruda, Giannis Ritsos e i nobelisti greci Odisseus Elytis e Georgios Seferis, subendo carcere e torture senza mai rinunciare alle sue idee?

LA VERITÀ è che da molti anni Theodorakis aveva intrapreso un percorso politico molto personale e molto contraddittorio che talvolta lo ha portato verso lo schieramento di destra. Il primo passo lo aveva fatto nel 1970, quando il radicale francese Servan Schreiber era riuscito a strapparlo dalle mani del regime militare e a portarlo libero a Parigi. Dichiarò che non era più comunista, per spiegare più tardi che non aveva scelto tra i due tronconi in cui si erano scissi i comunisti greci.

Continuò però con grande passione l’opera di denuncia dei colonnelli, con grandi concerti in tutta Europa. Fino a quel momento Theodorakis, come incarico politico, era stato presidente della Gioventù Democratica Grigoris Lambrakis. Era l’organizzazione giovanile del partito della Sinistra Unita (Eda) che era stato costituito da quando i comunisti erano stati posti fuori legge. Il nome derivava dal deputato della sinistra selvaggiamente assassinato nel 1963 dalla destra al governo. È la storia di Z, il romanzo di Vassilikos poi tradotto il film da Costa Gavras. Allo stesso tempo era entrato in Parlamento con l’Eda.

NEI MESI dopo il crollo del regime militare, nel 1974, il grande compositore sorprese tutti dicendo che bisognava votare il leader della destra democratica Karamanlis altrimenti «sarebbero tornati i carri armati». I comunisti furono legalizzati ma né i filosovietici del KKE né gli «innovatori» eurocomunisti «dell’Interno» sembravano tenere conto delle sue capacità da leader politico. Theodorakis apparve deluso e fortemente critico verso gli ex compagni: tentò di tenere in vita l’Eda ma con scarsi risultati.

Era ritenuto un grandissimo artista ma politicamente instabile, capriccioso e soprattutto poco disciplinato. Se ne ebbe la prova quando il compositore abbandonò alla sua sorte la moribonda Eda e cominciò ad avvicinarsi ai comunisti filosovietici del Kke. I quali lo premiarono con una candidatura a sindaco della capitale ed in seguito eleggendolo ben due volte in Parlamento. Con scarsi risultati: si assentava dalle riunioni e talvolta votava contro le indicazioni del partito. Theodorakis aveva già cominciato timidamente ad avvicinarsi ai socialisti del Pasok di Andreas Papandreou allora al governo. Nel Pasok però la competizione era senza tregua e ben presto si mise ad attaccare il leader socialista, definendolo «demagogo», «bugiardo» ma anche «agente degli americani».

In questo modo riuscì a guadagnarsi simpatie tra gli avversari a destra di Papandreou. In particolare fu Konstantinos Mitsotakis, padre dell’attuale premier, che riuscì a riconciliarlo con il partito di destra Nuova Democrazia. Nel 1990, anche se per un solo voto (comprato da un partito minuscolo) Mitsotakis riuscì ad ottenere la maggioranza parlamentare e premiò il grande compositore con il ministero della Cultura. Per l’opinione pubblica era uno schock. Mitsotakis padre non era per nulla amato. Il nomignolo l’«apostata» lo seguiva come una maledizione. Se lo era guadagnato quando tradì il primo governo democratico del paese e si mise a tramare per il suo rovesciamento, aprendo così la strada al colpo di stato dei colonnelli. Un premier simile non può durare molto e infatti crollò presto.

L’ULTIMA CREATURA di Mikis si chiamava «Spitha» cioè «Scintilla». È nata poco dopo lo scoppio della crisi e l’imposizione dell’eurozona, su una piattaforma «patriottica» piuttosto confusa. Cercò di fare concorrenza all’impetuosa crescita di Syriza ma senza successo. Forse a questo è dovuta la sua polemica impietosa verso i compagni di Tsipras, definiti, nel penoso ultimo discorso a Syntagma, «fascisti con un’apparenza di sinistra».

Un enorme artista, il più grande musicista greco di tutti i tempi, amato ed adorato da tutti, anche fuori dal paese. Ma un mediocre politico, che ambiva sempre a essere riconosciuto ed accettato come leader, senza averne né la capacità né la costanza. Ma i greci lo hanno sempre perdonato. Le sue capriole a destra e a sinistra sono già state dimenticate. E tutti, ma proprio tutti, andranno a rendergli omaggio nei tre giorni di lutto proclamati dal governo. Sarà sepolto nel paese del padre, a Galatas nell’isola di Creta. «Voglio lasciare questo mondo da comunista» sono state le sue ultime parole.