Produttrice e interprete «assoluta» di The Unforgivable, Sandra Bullock torna con un film (distribuito direttamente su Netflix) centrato su un personaggio potente, pieno di dolore, invaso da un segreto finora mai confessato che la sceneggiatura ben dosata fa riaffiorare lentamente e con piccoli tocchi di scrittura, mentre la regia eccellente di Nora Fingscheidt, salvo qualche «digressione» nel passato della protagonista che lampeggia in baluginii di memoria a volte accostati a una situazione simile vissuta nel presente, calibra tensioni e emozioni nel tracciare il complesso percorso di ri-nascita di una donna che ha trascorso gli ultimi venti anni in carcere, quasi metà della sua vita. Si chiama Ruth Slater e la prigione l’ha indurita nei tratti del volto, nella ritrosia a comunicare con chi gli sta attorno, nella violenza cui ricorre per difendersi da soprusi (si pensi alle scene nel dormitorio, ovvero un’ulteriore convivenza forzata, dove viene condotta dopo l’uscita di galera e al rapporto con altre donne che lo popolano e che sfocia in conflitti).

SANDRA BULLOCK – lontano dalle commedie che la vedevano scatenarsi in una magnifica girandola d’equivoci e di comportamenti (da Ocean’s 8 a quel gioiello di buddy boddy poliziesco al femminile che è Corpi da reato), dalle spericolatezze all’ultimo respiro dei due Speed o dalla sublime avventura nello spazio di Gravity – dà prova d’intensa adesione nel ritrarre il tormento di una donna ricorrendo a un’interpretazione tanto asciutta e trattenuta quanto vibrante nel di-segnare sul suo viso sfumature, reazioni, caparbietà, lacrime, accenni di sorrisi, ostinazione, anche di fronte alle restrizioni dovute alla sua libertà vigilata, nel raggiungere il proprio obiettivo: ritrovare la sorella Katherine dalla quale fu costretta a separarsi vent’anni prima. Allora, Katherine aveva cinque anni, Ruth si prendeva cura di lei, la madre era scomparsa anni prima, il padre si era suicidato, vivevano in una casa singola e stavano per essere sfrattate. Ruth cercò di resistere all’assedio della polizia, Katherine era nascosta in lacrime, un fucile si trovava non distante da loro. E un colpo partì, lo sceriffo fu ucciso, Ruth arrestata, la sorella minore data in affidamento a una nuova e amorevole famiglia. Il trauma colpì entrambe, Katherine «dimenticò» quell’incubo, ma non nelle notti turbolente e insonni, Ruth si addossò un crimine non suo. Rimettere a posto le cose sarà arduo.

«THE UNFORGIVABLE» descrive questi passaggi esprimendosi al meglio nella descrizione di una realtà sociale fatta di proletari, gente che, come Ruth, deve tentare di reinserirsi, uomini accecati dall’odio (i due figli dello sceriffo) e di ambienti lavorativi pesanti (la pescheria dove Ruth trova occupazione) o che, al contrario, stimolano la creatività della donna (l’edificio da ristrutturare, che diventerà un centro per persone bisognose d’aiuto, e dove Ruth porterà le sue competenze di falegnameria). Questi luoghi, così come parti cittadine più benestanti (lo studio dell’avvocato che dà una mano fondamentale alla protagonista nella ricerca della sorella) o posti periferici adatti a mettere in campo scene di vendetta nello «sconfinamento» verso il thriller del film (in un ribaltamento drammatico di quel che succedeva al personaggio di Bullock in Corpi da reato), costituiscono la scenografia realista, sorretta da una gamma di luci grigie, di un’opera (ambientata a Seattle, ma girata in Canada) che segue passo dopo passo il ritorno alla vita di una donna (e se Sandra Bullock splende nei suoi 56 anni portati benissimo, efficaci sono le presenze nel cast di Vincent D’Onofrio nel ruolo dell’avvocato e di Viola Davis in quello di sua moglie alla quale Ruth, in uno sfogo infine non più trattenibile, confessa la verità).

ALLA BASE di The Unforgivable (secondo lungometraggio, e primo americano, della cineasta tedesca Nora Fingscheidt, che aveva esordito nel 2019 con Systemsprenger, presentato al festival di Berlino) c’è la miniserie televisiva del 2009 in tre puntate Unforgiven scritta da Sally Wainwright e con Suranne Jones (che avrebbe poi interpretato la pioniera del movimento lgbtq+ Anne Lister nella serie Gentleman Jack, altra creatura di Wainwright) nei panni di Ruth Slater.