Riassunto per i non frequentanti di Youtube e affini. I The Pills sono un gruppo romano di autori e attori comici, composto da tre persone/personaggi. Da anni fanno numeri abbastanza esorbitanti con brevi video ambientati in un appartamento di Roma dove i tre fumano, bevono, giocano alla Play Station, cercano di non affrontare la vita. Ogni tanto fanno capolino ospiti come il calciatore della Roma Alessandro Florenzi o Giancarlo Magalli in un ruolo super cult. Passati non troppo epicamente in televisione, sono sbarcati da qualche giorno al cinema con The Pills – Sempre meglio che lavorare. Diretto da uno dei tre (Luca Vecchi, gli altri due sono Matteo Corradini e Luigi Di Capua), la base del film è piuttosto simile ai brevi video di youtube: alla soglia dei trent’anni, i tre abitano tutti insieme, vanno a qualche festa ogni tanto ma poco convintamente, soprattutto cercano di non fare i conti con il tempo che passa inesorabile. Il film è condito da una colonna sonora con il meglio della scena hipster romana, Calcutta, I Cani, Thegiornalisti. La filosofia del film è racchiusa in una battuta: «A me di affrontare la vita non me va, non mi va di andare a lavorà, non mi va di mettere la sveglia alle sette e mezza, perché una vita con la sveglia alle sette e mezza non è una vita che vale la pena di essere vissuta», battuta pronunciata naturalmente non troppo lontano dal Pigneto. Non è un rifiuto del lavoro modello settantasette. Il film intero è una parodia del disimpegno (nel senso proprio del non essere impegnati in una qualunque attività), delle responsabilità, financo della vita stessa. È un prendere atto che, quando il lavoro non c’è, o si raccolgono le briciole, o si rifiuta tutto, o ci si reinventa molto creativamente – come hanno fatto in fondo gli stessi The Pills, che a forza di «non lavorare» su Youtube, un lavoro ce l’hanno: campano producendo prodotti multimediali sul non voler lavorare. Dicono dei loro video in un’intervista di due anni fa: «tutto nasce da una frustrazione causata dal desiderio del ‘fare’ che si scontra contro una realtà odierna caratterizzata da impieghi e lavori di ‘merda’». Nel film è tutto portato all’eccesso. Uno dei personaggi, Luca, comincia a fare una lunga sfilza di lavoretti interinali e precari. Ma non lo fa per sopravvivere: lo fa perché, come una droga, lui e la ragazza si eccitano così. Il lavoro che dà dipendenza ma non fa bene alla salute. Finché non basta più. E allora Luca riprende una sua vecchia idea e, in barba al politically correct, vuole aprire un «bangla», cioè un alimentare nuovo modello che tipicamente a Roma e altrove sono gestiti da persone provenienti dal subcontinente indiano. Per farlo deve cominciare a pensare come un bangla. La Bangla Corp, dove finirà a lavorare (sul serio, stavolta, del tutto alienato e allontanatosi dagli amici fancazzisti) ha sede nel palazzo dell’Unicredit di Milano, capitale del lavoro e dell’alienazione, mentre a Roma, è noto, si lotta per non fare un cazzo. Sono cresciuti, i The Pills, e sono pure invecchiati: basta andare a rivedersi uno dei primi video L’Amore ai Tempi dell’Erasmus, del novembre del 2011 (prodotto dalla rivista Dude Mag, una delle realtà alternative più interessanti a Roma), ormai un cult da quasi un milione di visualizzazioni, per trovarseli giovani anche se naturalmente non sbarbati (hipsterism docet). Hanno fatto un film maturo, che dice cose importanti in maniera il meno possibile seria: del resto, una delle cifre di noi giovani è il costante rifiuto di prendersi sul serio. E non è chiaro come si possa rialzarsi dalle macerie esistenziali in cui la nostra generazione è stata, e si è, cacciata. Invece di affannarci nel dimostrare che no, non siamo mica bamboccioni o fannulloni, o di rincorrere uno posto fisso alla Checco Zalone (con cui comunque condividono il produttore, Valsecchi) che tanto non c’è, i The Pills fanno saltare il banco: non lavoriamo, anzi, nun lavoramo, e diventa un gesto di resistenza, meglio che fare gli schiavi sottopagati, sfruttati, senza possibilità di futuro. The Pills – Sempre meglio che lavorare non è solamente il film che ha meglio raccontato la nostra generazione: è in un certo senso l’unico film possibile per la nostra generazione.