Si può pensare che il mormorio della foresta, quell’insieme di suoni animali, vegetali, liquidi e aerei che compongono quel “waldweben” musicato da Wagner per il Siegfried, sia una voce gentile. Ma è un’illusione, una di quelle malie armoniche che giustificano il nominativo di Mago con cui Nietzsche appellò il musicista nelle pagine di Zarathustra. La voce della natura non è gentile, perché la natura non lo è e la sua bellezza è necessaria, ammirevole quanto ingannevole.

Non che Wagner non lo avesse intuito, d’altronde il suo bosco nasconde la tana di un drago, ma diversamente da un teorico sulla crudeltà e indifferenza della natura come Leopardi, l’autore di Parsifal ha preferito incantarci e mentirci, almeno per qualche minuto di elegia poetica e musicale. The Last of Us, capolavoro annunciato e confermato di Naughty Dog per Playstation 3, non ci illude mai: la natura è orrore e la sua beltà è la stessa di un velenoso oleandro.

Cronaca di un viaggio attraverso gli Stati Uniti scandito con epico andamento stagionale, The Last of Us è un epicedio meraviglioso, un canto funebre che, come un adagio di Bruckner, trascorre da un lirismo sublime ad una violenza che annichilisce, da un raccolto intimismo al furore mistico, dall’elegia panteistica al piagnucolio sconsolato.

The Last of Us giunge alla fine di questa generazione di console diventando il suo apice tecnico, estetico, e drammatico. Se lo giocate dopo avere concluso The Walking Dead e Metro Last Light il suo impatto tragico e definitivo risulterà ancora più potente, tuttavia, e questo si deve alla perizia oggi incomparabile degli autori di Uncharted, The Last of Us è divertentissimo da giocare; malgrado il terrore, le tragedie e il dolore che vi emanano è un videogame “puro”, un meccanismo ludico programmato ad arte che consente di trascorrere una ventina di ore di passione e evasione, stupendo e sfidando il giocatore senza che la tensione, il raccapriccio, la meraviglia calino mai.

Senza nulla togliere al quinto e sesto capitolo di Resident Evil, kolossal horror sobri, roboanti e illuminanti, sarebbe bello che la Capcom studiasse le dinamiche “survival” di The Last of Us per fare evolvere la sua serie di punta.

Se di un gioco esaltante come Bioshock Infinite ci ricordiamo della magnifica storia, dei personaggi e delle sorprendenti architetture di Columbia, ma tendiamo a dimenticarci le decine e decine di sparatorie frenetiche e ripetitive, in The Last of Us ogni incontro con i nemici resta impresso nella memoria, siano essi predoni umani e cannibali o gli orripilanti infetti dal Cordyceps, il disgustoso fungo parassita (esiste davvero ma nella realtà contagia solo qualche specie di insetto) le cui spore hanno decretato la fine della civiltà umana.

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Non ci ricordiamo di questi lenti e ansiogeni conflitti solo per la loro complessità che ci porterà spesso al game over, per la strabiliante varietà degli scenari in cui si svolgono o per l’intelligenza artificiale dimostrata dagli avversari ma perché ogni volta ci propongono una nuova sfida che può essere superata con una libertà strategica soggettiva e senza frenesia.

Pensiamo sempre a cosa stiamo facendo, non esistono automatismi. Ci sono momenti d’azione sconvolgenti come quando un gruppo di predoni ci tende un agguato e dalla carcassa dell’automobile ormai distrutta che ci ha condotto fino a quel punto una vecchia autoradio propaga le note di Alone and Forsaken di Hank Williams. Oppure quando nel buio di tunnel putridi, alla luce di una torcia, ci muoviamo senza fare rumore per eliminare i Clicker, umani infetti il cui stadio di contaminazione dal Cordyceps ha corroso gli occhi, rendendoli ciechi ma amplificando loro l’udito.

Non c’è solo azione in The Last of Us, negazione del videogame convulso e ipercinetico, perché l’esplorazione e la contemplazione sono le fondamenta dell’esperienza. Ogni angolo di questo mondo post-apocalittico merita di essere perlustrato: metropoli cadenti con edifici crollati sulle cui mura crescono foreste di rampicanti; fondamenta allagate che sembrano grotte misteriose; foreste innevate dal manto candido e incontaminato; giungle di rottami e fiori; fiumi che scorrono irruenti attraverso le gallerie muffose di grandi strade.

Nei luoghi ameni e terrificanti che compongono il vastissimo territorio che dobbiamo attraversare possiamo reperire le rare risorse per sopravvivere, combattere e difenderci. Troveremo soprattutto numerosi spunti di contemplazione.

La natura è crudele, malefica e oscena in The Last of Us; guardare nei suoi splendenti occhi indifferenti ci rivela la sua dolcezza fasulla ma travolgente, e una bellezza, che quando non uccide, accarezza gli “ultimi tra gli uomini” sussurrandogli con divina tenerezza, forse mentendo, però non ci importa, che saranno i primi.