Zombie pustolosi e osannanti, fantasmi di donne ridenti che vomitano ghiaccio, chimere che sembrano il frutto purulento del contagio de la Cosa di Rob Bottin e Stan Winston, un’artista necrofilo della fotografia mortuaria, una madre che ingozza ossessivamente il cadavere del figlio adolescente accusandolo di essere “pelle e ossa”. Animato dai suddetti e da altri abominii il secondo episodio di The Evil Within, uscito per Playstation 4, Xbox One e PC, è una tetra, dilatata sagra degli orrori virtuali, una festa splatter che non rinuncia alla dimensione avventurosa e al melodramma, risultando un’artistica e gloriosamente decadente miscela tra raccapriccio, ansia, divertimento ludico e tensione strategica alla sopravvivenza.

Inventata da Shinji Mikami, padre di Resident Evil (in The Evil Within 2 è “solo” executive producer), questa saga del macello umano e della psiche mostruosa prodotta e distribuita dagli americani di Bethesda ma giapponese nell’anima, ripristina il classicismo del “survival horror” delle origini, mantenendo tuttavia una sua spinta rivoluzionaria ancora più estrema nel secondo episodio. Nel videogioco in questione infatti la linearità del genere d’appartenenza, di cui Mikami è maestro, si infrange in lunghi segmenti di parziale libertà d’azione e esplorazione, dilatando il gioco in una deriva ispirata alla struttura degli “open-world”, per poi ricondurlo sui binari di un’esperienza più dritta e convenzionale.

The Evil Within 2 procede la narrazione del primo episodio, ritroviamo quindi l’agente Sebastian Castellanos traumatizzato dagli incubi vissuti dopo il massacro all’ospedale psichiatrico Beacon e annichilito dalla morte della figlia, bruciata nella sua cameretta durante un incendio. Reclutato dai nemici delle industrie Mobius, responsabili della creazione dello Stem, sistema elettronico e neurale che precipita le coscienze umane in una dimensione elettronica e psichica insieme, Sebastian scopre che la figlia è ancora viva, rapita dalla multinazionale e trasformata nel “nucleo umano” sul quale si fonda la propria invenzione. Ma la bambina è scomparsa e solo Sebastian, malgrado l’odio per la Mobius, può sperare di ritrovarla e salvarla. Quindi ci immergiamo con Sebastian in una vasca del tipo “Stati di Allucinazione” e precipitiamo di nuovo nel sogno iper-realista e letale reso possibile dallo Stem per recuperare la bimba. Così dopo una premessa diegetica troppo lunga ma necessaria l’orrore può cominciare di nuovo.

Questa volta siamo nella cittadina di Union, condizione metropolitana totalmente mentale nella quale vivevano gioiosamente sognanti e nello stesso tempo attive e produttve centinaia di persone connesse allo Stem. Union è un non-luogo affascinante, una riuscita utupia urbanistica , posto vero eppure metafisico, città del sole destinata a diventare un luogo peggiore di qualsiasi inferno, perchè qualcosa è andato tremendamente storto e questa sta collassando insieme ai suoi abitanti, trasformati in aberrazioni omicide.

Viaggiare e sopravvivere per i 16 capitoli che compongono il gioco è un’esperienza delirante e allucinatoria attraverso spazi che si aprono su svariati livelli di rappresentazione, suggestivi e barocchi, gelidi e claustrofobici, quasi sempre orripilanti e palpitanti di malessere obnubilante: strade che si spalancano su abissi senza fondo e quartieri accartocciati in strutture escheriane ma illogiche, catacombe arredate da medievali strumenti di tortura, musei dove ogni opera d’arte varia ossessivamente l’idea della morte violenta, nevosi deserti di nulla, laboratori allagati da torrenti di sangue. Ci sono anche luoghi della quotidianità che permangono quasi intatti come bar, abitazioni o ristoranti, eppure anche questi, grazie alla ricchezza dei dettagli e l’arte con i quali sono disesegnati, possiedono sempre qualcosa di inquietante e straniante. In questo tessuto sconvolgente di visioni da incubo penetrano con efficacia citazioni surreali e dichiarate dal cinema di David Lynch, di Luis Bunuel, di Tobe Hooper, di Tsiga Vertov, di George Romero, di Roger Corman, di John Carpenter o da altri videogiochi, come Silent Hill o Life is Strange.

Assolutamente da non giocare nella modalità più elementare, a meno che non vogliate rinunciare alle difficoltà di una sfida ostica ma esaltante oppure non siate molto abili in giochi di questo tipo, The Evil Within 2 è un territorio ludico ostico. I nemici, anche quelli comuni e antropomorfi seppure in maniera oscena, possono eliminarci con pochi attacchi e conviene spesso affrontarli in maniera discreta, restando nascosti e colpendoli silenziosamente alle spalle con un coltello, sperando che altre mostruosità non si accorgano di noi. Nel corso del gioco otterremo diverse armi, tuttavia le munizioni sono sempre contate, alimentando un senso di insufficienza che nei videogame più moderni è ormai difficile sperimentare. La strategia è fondamentale se si vuole sopravvivere, così come la lentezza di movimento che non solo consente di ammirare meglio l’orrenda poesia delle ambientazioni ma di alimentare l’illusione dell’immedesimazione in Sebastian e di scoprire e completare le rare ma ispirate missioni secondarie.

The Evil Within 2 si può completare in 15 ore, ma se volete godervi ogni suo sordido segreto e tremare per ogni sua invenzione la durata raddoppierà ed è così che va giocato, perchè il suo tempo è quello di un Adagio sinfonico, gli adagi lentissimi e lunghi di Bruckner, Mahler e Sostakovic intepretati da un’orchestra di creature lovecraftiane. Degna di nota la colonna sonora dai toni agghiaccianti, mai invadente e fusa con arte della cacofonia con i suoni abbietti che si propagano per l’abominevole paese di Union. C’è anche il primo movimento della Serenata per Archi di Peter Ilic Cajkovskij, trasformato in un’armonia spaventosa senza che la sua bellezza risulti compromessa.

La trama di The Evil Within 2 può sembrare farraginosa, a tratti una poco ispirata accozzaglia di luoghi cumuni sci-fi e horror condita da qualche nozione di psicoanalisi. Ma non è così perchè una cornice apparentemente banale contiene invece idee valide, addirittura profonde, che trasformano l’intreccio, soprattutto verso la fine, in un dramma familiare pulp e bergmaniano insieme.

Compendio di horror diversi, ricondotti ad una magistrale unicità di registro e tono, The Evil Within 2 è un videogame sul malessere e l’angoscia, ma soprattutto sul superamento di queste illusorie condizioni traumatiche indotte dal gioco attraverso la vittoria sulle avversità resa possibile dalla propria abilità, pazienza e costanza; Il suo fucro non è la parola, ma come per il cinema delle origini, è la visione. E’ tramite l’immagine e l’azione implicita nell’attività del videogiocare che l’opera del team di Shinji Mikami esprime i suoi migliori contenuti e rivela la sua anima macabra, quasi antica nel suo essere così grand-guignolesca e romantica.