Contrordine compagni, oggi Donald Trump non parla più. Il pirotecnico ex presidente degli Stati uniti ha cancellato la conferenza stampa sull’assalto al Campidoglio, convocata a un anno esatto dalla violenta invasione del parlamento del 6 gennaio scorso. Naturalmente lo ha fatto «alla Trump», cioè sbeffeggiando, accusando e mentendo: «Alla luce della totale parzialità e disonestà del non-selezionato comitato sul 6 gennaio, composto da democratici, da due repubblicani falliti e dalla fake stampa, annullo la conferenza del 6 gennaio a Mar-a-Lago».

E giù vecchie balle sulla responsabilità della speaker democratica Nancy Pelosi nella sanguinosa aggressione del Campidoglio: «Nessuno scrive che quel giorno è stata lei a impedire l’intervento della Guardia nazionale», ripete Trump. È un’assodata panzana, la speaker non ha alcuna autorità sul sergeant-at-arms custode del Campidoglio, ma ormai è così: la post-verità, un tempo ingrediente tra gli altri, oggi è il piatto unico della destra repubblicana radunata – ancora – intorno a Donald. Appuntamento a un comizio in Arizona il 15 gennaio, per chi volesse sentirlo.

Sarebbe stata una bomba, quella conferenza stampa, convocata nel buen retiro-club-villone di Mar-a-Lago in Florida che l’ex presidente ha eletto a quartier generale dopo la sconfitta. Ma una bomba per chi?

I più grandi sospiri di sollievo non sono venuti dai democratici (il presidente Biden e la vicepresidente Harris parleranno oggi nelle commemorazioni al Campidoglio), ma dagli stessi senatori repubblicani, impegnatissimi ad allontanarsi da Washington nell’anniversario del giorno del delitto. Al provvidenziale funerale del senatore della Georgia Johnny Isakson, morto di Parkinson due settimane fa, ci saranno solo posti in piedi. Mentre tutta la truppa senatoriale repubblicana (cioè mezzo Senato) ripete lo stesso mantra: «The country has moved on», il paese è andato avanti. Chissenefrega del golpe dell’anno scorso.

È andato avanti, però, anche il Dipartimento di giustizia, che grazie a investigatori volontari online (14mila ore di video non sono uno scherzo) ha emesso 700 mandati d’arresto e stima che arriverà a 2.500, ha già prodotto una cinquantina di sentenze, ha ancora qualche centinaio di persone in carcere senza cauzione che spesso si presentano dal giudice in lacrime, e il mese prossimo farà partire i primi processi contro i miliziani organizzati. Ed è andato avanti anche il Comitato 6 gennaio.

La commissione d’inchiesta della Camera ha messo le mani su 35mila documenti e oltre 300 i testimoni, e Washington ormai si chiede fino a che livello voglia arrivare. Gli ultimi convocati dagli inquirenti del parlamento sono l’ex vicepresidente Mike Pence e il mezzobusto di Fox News Sean Hannity. Pence ha passato tutto l’anno cercando di far dimenticare il «gran rifiuto» opposto a Trump che gli chiedeva di non certificare l’elezione di Biden. Hannity possiede centinaia di messaggi con Trump in cui sarebbe disegnata la strategia di invalidare le elezioni negli Stati persi e restare presidente.

Difficile che i due si presentino spontaneamente: il Comitato 6 gennaio non fa trapelare molto, non si sa nemmeno – per sicurezza – dove si riuniscano i parlamentari e i loro quattro team legali. Ma il team verde indaga sui milioni di dollari che hanno finanziato le menzogne sul voto rubato (600mila ce li ha messi la ricca ereditiera dei supermercati Publix, che da sposata si chiama Fanelli e vive in Toscana), il team oro dà la caccia ai piani di Trump con i membri del Congresso per ribaltare le elezioni, il team viola persegue i miliziani dell’ultradestra e il team rosso indaga sulla manifestazione «Stop the Steal» vera e propria.

È Donald Trump, l’obiettivo. Il capo della sola destra rimasta negli Stati uniti, quella della post-verità seriale, dei social usati come clave, della violenza sdoganata, degli «eroi del Campidoglio». I resti dell’altra, i conservatori più o meno rispettabili, sono spariti dalla circolazione due settimane dopo il 6 gennaio, e i 10 senatori che hanno osato votare per l’impeachment si leccano da un anno le ferite. Sono ancora tutti lì, in parlamento e nel partito, ma dietro Trump. Votare contro questa gente nel 2024 vuol dire candidarsi a un massacro.