La strategia del governo thailandese del premier Prayut è stata chiara sin dall’inizio: lasciar sfogare la piazza senza intervenire e praticare arresti selettivi per ora senza sparare un colpo.

GLI OCCHI DEL MONDO sono puntati su Bangkok, la cui piazza sembra ripetere quanto avvenuto a Hong Kong e dunque bisogna essere accorti. Così, dopo che mercoledì un corteo di decine di migliaia di manifestanti ha invaso le vie del centro dirigendosi verso il palazzo del governo per chiederne le dimissioni con una riforma della Costituzione e del ruolo del re, Prayut ha aspettato.
Al netto di qualche lieve incidente, ha colto la palla al balzo del corteo reale che portava monarca e consorte a una cerimonia religiosa e che, attraversando mercoledì le strade piene di manifestanti, non si è visto omaggiato da un inchino ma dalle tre dita alzate, segno di sfida e icona della protesta. Il copione era completo.

ALLE PRIME LUCI DELL’ALBA di ieri Prayut ha firmato un decreto che rende più forte lo stato di emergenza già in vigore a causa del Covid e ha mandato gli agenti a spedire a casa chi stava passando la notte davanti al palazzo del governo: un presidio che sarebbe dovuto durare tre giorni. Alle sei, mentre il sole sorgeva sulla città degli angeli, gli agenti sono intervenuti e il presidio – poi presidiato da duemila agenti – è stato sciolto con una ventina di attivisti arrestati. Tra loro i nomi più noti della protesta: Panusaya “Rung” Sithijirawattanakul, l’avvocato Arnon Numpha, Parit Chiwarak detto “pinguino” e Prasit Krutharote. Vanno ad allungare la fila di arrestati nei giorni precedenti.

[do action=”citazione”]Attivisti, studenti e anche rapper impegnati e famosi. Hanno violato lo stato di emergenza, sono accusati di sedizione ma, peggio del peggio, rischiano la lesa maestà per quelle tre dita alzate davanti al re in segno di sfida.[/do]

Nel salire sull’auto che la portava via, “Rung” ha detto che le manifestazioni sarebbero continuate. Alle 4. Così infatti accade: e sono ancora a migliaia a sfilare nelle strade della capitale chiedendo la liberazione degli oltre 40 arrestati tra ieri e il giorno prima del mercoledì da leoni dei giovani (e non solo giovani) thailandesi. All’arrivo del buio, le strade del centro erano ancora gremite di dimostranti che sfidavano decreto e polizia. Poi si sono sciolti: appuntamento domani pomeriggio.

Intanto Prayut ha messo in atto una sorta di golpe silente: oltre alle limitazioni dello stato di emergenza anti Covid già in vigore da sei mesi, il nuovo decreto inasprisce le disposizioni riportando il Paese de facto – dicono gli osservatori – al periodo successivo al colpo di stato del 2014. No ad assembramenti oltre cinque persone; chiunque può essere trattenuto senza accuse fino a 7 giorni e fino a 30 con la firma di un magistrato; detenzione in caserme dell’esercito che potrebbe essere impiegato accanto alla polizia. Censura totale sui social. E già si parla di un comitato di supervisione del decreto che ha sapore di giunta.

QUALCUNO, COME AMNESTY International, alza la voce parlando di misure eccessive. Ma in Thailandia la paura comincia a circolare. Dice la sua Thanathorn Juangroongruangkit, leader del gruppo Progressive Movement, che ha chiesto il rilascio degli arrestati denunciando l’uso dello stato di emergenza come abuso di potere. Ma Thanathorn è un deputato – nelle elezioni 2019 ha ottenuto ottimi risultati – espulso dal parlamento assieme al suo partito, sciolto dalla magistratura. Può ancora parlare ma rischia di essere silenziato.
Silenziare il movimento però non sarà cosi facile. Come dimostrano le strade nell’ennesima giornata carica di tensione.