«Continuerò a preservare e sviluppare l’eredità della monarchia e regnerò con rettitudine per il bene e la felicità del popolo». Con queste parole e dopo che, tra monaci e dignitari di corte, è stata posata sulla sua testa la Corona della Vittoria dorata che pesa oltre sette chili, Maha Vajiralongkorn – figlio di Bhumibol Adulyadej morto nel 2016 – è diventato ieri re Rama X di Thailandia.

La cerimonia dura fino a domani ed è stata preparata con cura, salve di canone, addobbi e cotillon. Lo segue la regina Suthida, compagna di lunga data e sposata a sorpresa (il re è divorziato) prima dell’incoronazione. Il momento è delicato perché il 24 marzo scorso, dopo l’ennesimo colpo di stato militare nel 2014, si sono tenute libere elezioni ma i risultati non sono ancora definitivi e il partito dell’esercito – Palang Pracharath Party (Pprp), retto del premier generale Prayut Chan-o-cha – che con ogni probabilità sarà anche il futuro primo ministro – potrebbe ottenere il governo ma con una risicata maggioranza fatta di partitelli minori e il voto inequivocabilmente per Prayut dei 250 senatori che, con la nuova Costituzione, sono stati scelti dall’esecutivo e possono far la differenza sul voto dei 500 parlamentari della Camera bassa realmente eletti. La cerimonia di questi giorni si potrebbe derubricare a folklore se la monarchia costituzionale della Thailandia vedesse nel re una pura figura cerimoniale.

Ma non è proprio così. Quando sua sorella, prima delle elezioni, si candidò in uno dei partiti di opposizione, il proto-re fece valere il principio secondo cui la famiglia reale non si occupa di politica. Ma il suo intervento fu in realtà ultrapolitico. La sorella infatti, pur di sangue blu, aveva rinunciato alle sue prerogative sposando un cittadino comune. Ma si era schierata dalla parte sbagliate e l’intervento reale non solo fece uscire dai giochi l’ex principessa Ubolratana ma diede un colpo formidabile al partito che l’aveva candidata: il Thai Raksa Chart, infatti, venne escluso dalla corsa elettorale. La severissima legge di lesa maestà in vigore, mise allora al riparo il fratello dalle critiche ma non dagli effetti di un gesto che di fatto favoriva il regime dei generali con cui la real casa ha per lo più buoni rapporti.