Giuseppe Uva è stato picchiato anche dentro l’ospedale, poco prima dell’alba del 14 giugno del 2008. Questa sera, il programma di Raitre «Chi l’ha visto» manderà in onda la testimonianza di una donna che quella notte era proprio lì, in ospedale, quando Giuseppe Uva entrò scortato dagli agenti, erano le 5 del mattino: «C’erano guardie e carabinieri. Sono rimasti in quattro – cinque, o sei. E lui continuava a urlare: “bastardi!”. Allora uno di quelli, carabiniere o poliziotto, questo non so, ha detto: «Basta adesso, finamola!”. Poi si è rivolto a dei colleghi così: “Portiamolo di là e gli facciamo una menata di botte”. Loro hanno aperto una porta e poi hanno chiuso. All’uscita ho notato che lo sorreggevano bene. Io in quel momento ho guardato lui, e al naso aveva questa escoriazione. Ho sentito dire: “prendete la barella, che lo mettiamo sulla barella”. Infatti l’hanno messo la barella e poi hanno chiamato il dottore, che gli ha messo la flebo». Un nuovo tassello del complicato mosaico che è quella notte d’estate: ad oggi, di quanto sia accaduto durante il fermo di Giuseppe Uva e Alberto Biggiogero nella caserma di via Saffi si sa pochissimo: gli investigatori non lo ritenevano importante. Un possibile movente, ad ogni modo, potrebbe essere la vendetta, le botte avrebbero avuto un intento punitivo per qualche ipotetico screzio passato. È la tesi che sostenne anche Lucia Uva davanti alle telecamere delle «Iene», su Italia Uno. Agli atti: «Me lo hanno inculato, cazzo», disse la donna. Seguì querela per aver leso l’onorabilità e la dignità dei due poliziotti e sei carabinieri che arrestarono e trattennero per ore suo fratello.

Intanto, il procuratore capo Felice Isnardi è diventato ufficialmente il titolare del fascicolo 5509, dopo averlo tolto dalle mani dei pm Agostino Abate e Sara Arduini perché la loro richiesta di rinvio a giudizio, inoltrata all’ufficio del gup, presenterebbe «manifesti profili di illogicità e contraddittorietà» non rispettando, tra l’altro, «le prescrizioni imposte dall’ordinanza del gip» Giuseppe Battarino che, respingendo la seconda richiesta di archiviazione ricevuta in pochi mesi, aveva ordinato per i poliziotti e carabinieri indagati l’imputazione coatta per i reati di omicidio colposo, arresto illegale e abbandono d’incapace. La goccia che ha fatto traboccare il vaso: erano anni che si ipotizzava la loro rimozione dall’incarico, e la procura generale della Cassazione ha aperto contro Abate un procedimento disciplinare per come ha gestito il caso. I familiari di Uva, d’altra parte, hanno sempre visto la pubblica accusa come una «pubblica difesa» degli agenti. Opinione mai nascosta e mai rinnegata.

Quello che preoccupa è il calendario. Isnardi sarebbe infatti intenzionato a riscrivere gran parte degli atti che, allo stato attuale delle cose, minerebbero l’eventuale processo alle sue basi, ma a giugno tutti i reati ipotizzati, ad eccezione dell’omicidio colposo, saranno archiviati d’ufficio. Le speranze di arrivare a una conclusione del procedimento sono ridotte al lumicino. «Sei giudici – dice al manifesto l’avvocato di Lucia Uva, Fabio Anselmo – in maniera uniforme hanno chiesto di procedere contro gli agenti e i carabinieri. Perché siamo dovuti arrivare a questo punto? Avevamo chiesto pochi giorni fa all’Avvocatura generale di Milano di intervenire, ma le nostre richieste sono state respinte. Sarei ipocrita se dicessi che l’esclusione di Abate non ci abbia lasciati soddisfatti, ma è passato troppo tempo. Sono quattro anni che ne chiediamo la sostituzione». Un ultimo particolare lascia spazio a qualche speranza: «Se verrà fatta una richiesta corretta, con la ex Cirielli possiamo arrivare a guadagnare un anno e mezzo». Non moltissimo, in verità, per chiudere tre gradi di giudizio.