Come leggere i testi di Jacques Lacan? Si potrebbe provare al contrario o, meglio, al rovescio. Gli scritti lacaniani sono come un motto di spirito, come un racconto giallo, come una festa a sorpresa, nei quali l’epilogo cambia radicalmente il senso delle frasi, della narrazione e degli eventi che l’hanno preceduto. É lo stesso psicoanalista francese a fornirci questa indicazione nella Ouverture degli Scritti che esordiscono con il suo celeberrimo seminario dedicato alla Lettera rubata di Edgar Allan Poe. La particolare collocazione di questo intrigante testo di Lacan, ripubblicato con importanti aggiunte all’inizio della raccolta, propone una rilettura cronologicamente complessa e almeno parzialmente rovesciata dei contributi contenuti negli Scritti.

Questa scelta è coerente con l’approccio clinico lacaniano che trova un modello di riferimento nel caso freudiano dell’«Uomo dei lupi» e nella sua modalità d’interpretazione retroattiva. Infatti, la scena del rapporto sessuale tra i genitori, alla quale questo celebre paziente avrebbe assistito da bambino, assume nell’interpretazione psicoanalitica il suo carattere traumatico solo après-coup, a posteriori, dopo l’adolescenza e la maturazione psicosessuale.

Seguendo questa medesima dinamica retrograda si può tentare di aggirare le «garanzie di incomprensione» dello stile lacaniano che troviamo esplicitamente formulate in una nota a piè di pagina degli Scritti. Il bizzarro proposito di un autore che scrive per non essere compreso (almeno facilmente, immediatamente e totalmente) acquista senso se pensiamo ai suoi testi come a una sorta d’inconscio artificiale creato allo scopo di contribuire alla formazione degli analisti. Sono veri e propri rebus, nei quali cose e parole, significanti e significati, si scambiano i reciproci ruoli per proporre impegnativi esercizi di decifrazione e prolungate sfide al desiderio dei candidati alla posizione di psicoanalista.

Jacques-Alain Miller, cognato di Lacan e curatore francese delle sue opere, ha seguito questa impostazione rovesciata nel montaggio del volume intitolato Altri scritti, recentemente pubblicato da Einaudi nell’edizione italiana di Antonio Di Ciaccia, noto psicoanalista e traduttore lacaniano (pp. 624, euro 34,00). Il libro arricchisce la vasta panoramica degli scritti e dei seminari di Lacan a disposizione del lettore italiano.

Lo psicoanalista francese, nel diciassettesimo seminario, interpreta il rovescio del suo discorso in una peculiare accezione tessile che è importante per comprendere anche la composizione di questa seconda fondamentale antologia rivolta esplicitamente a riprodurre «la trama della prima». Il prologo della raccolta illustra la complessa organizzazione del volume, che prova a emulare l’effetto retroattivo lacaniano per impegnarci in una lettura zigzagante attraverso la cronologia degli Altri scritti e l’avventura intellettuale di Lacan. L’indice è una lente d’ingrandimento che distingue nella trama della raccolta i più importanti contributi che «non avevano trovato posto» negli Scritti, offerti dalla seconda alla quarta parte del volume, e mostra il loro intreccio con quelli «dedicati alla Scuola» fondata da Lacan, proposti nella quinta, e con altri organizzati cronologicamente nelle ultime tre. Tutte le parti si legano alla prima, intitolata «Lituraterra», che è il vero e proprio nodo teorico dell’intera antologia perché deve svolgere la funzione che negli Scritti competeva al «Seminario sulla Lettera rubata».

Il termine lituraterra vuole rendere, nella nostra lingua, un gioco di parole coniato deformando il termine francese littérature in lituraterre. È un neologismo lacaniano prodotto da un’inversione di sillabe e da uno scambio di doppie liberamente ispirato da tre termini latini, lino, litura, liturarius, saccheggiati dal dizionario etimologico di Ernout e Meillet. Lacan fa derivare dalla prima parola, che significa «rivestire», «spalmare» e «consumare», la gamma semantica della seconda usata per evocare il «rivestimento» dell’«intonaco» con le sue macchie, che compaiono inevitabilmente con il trascorrere del tempo, e la correlata esigenza di cancellarle. Queste antiestetiche lesioni del rivestimento superficiale di un muro alludono al terzo termine che indica qualcosa zeppo di cancellature.

A questi termini, esplicitamente citati da Lacan, è utile avvicinare gli etimi latini di due altre parole impiegate nel testo, che condividono parzialmente la grafia delle precedenti. Si tratta di littera e litus, che possiedono tra i loro sensi, rispettivamente, quelli di «lettera dell’alfabeto» e «litorale» e ci aiutano a capire perché mai la pseudoetimologia del neologismo lituraterra venga, a sua volta, accostata a un gioco di parole joyciano tra letter e litter «che scivola … da una lettera a una spazzatura». Un geniale motto di spirito capace di mostrare, in un lampo, come la sostituzione di un solo carattere possa trasformare radicalmente il significato di una parola facendo precipitare il soggetto nell’ilarità o nella vergogna. Questo spiega perché la pseudoetimologia di lituraterra intenda evocare macchie da cancellare e errori da ricoprire.

Dunque, abbiamo ottenuto un eterogeneo elenco di termini costituito da lettere, spazzatura, litorali macchie e cancellature ma resta il problema di capire quale sia il loro elemento comune. Il testo di Lacan sfida incessantemente il lettore sottoponendolo a varie prove tra le quali spiccano diversi tipi d’indovinelli psicoanalitici. Cimentiamoci, allora, nell’impresa ricordando che l’inconscio freudiano si distingue da quelli filosofici, che l’hanno storicamente preceduto, e da quelli scientifici, che lo hanno seguito e accompagnato, anche per la straordinaria importanza che attribuisce agli scarti della coscienza costituiti dalle varie forme di lapsus. Proprio nello «spazio» di questi ultimi possiamo individuare il comune denominatore che cercavamo.

Il litorale, per esempio, è una zona di confine mobile tra acqua e terra dove si posano i detriti e la spazzatura rifiutati rispettivamente dalla natura e dall’uomo. Questa area liminare e i suoi depositi spiegano l’insistenza con la quale Lacan, anche in «Lituraterra», paragona i suoi scritti con spazzature, pattumiere, lettiere e fogne. Sono tutti luoghi deputati a raccogliere i rifiuti e a evocare metaforicamente l’inconscio come articolazione di ciò che è scartato dalla coscienza. Questa è una delle leggi di composizione dei testi di Lacan che trovano una fonte d’ispirazione nei racconti di Aimée, la più celebre delle sue pazienti, sistematicamente rifiutati dagli editori.

Lo stile di scrittura lacaniano è influenzato anche dal surrealismo e, soprattutto, dalla passione per James Joyce, «conosciuto a vent’anni» e mai più dimenticato. «Lituraterra», non casualmente, cuce La lettera rubata di Poe, il seminario lacaniano a essa dedicata e le riflessioni joyciane con un filo rosso che attraversa gli Altri scritti. Il nome del grande autore irlandese punteggia la raccolta sino ad arrivare a uno degli ultimi testi a lui interamente dedicato. Lacan è estremamente esplicito nel dichiarare che Joyce «riduce allo stremo qualsiasi letteratura» perché, in qualche modo, «ne voleva la fine». Gli ultimi scritti dello psicoanalista, in ordine cronologico, seguono la stessa parabola joyciana, disarticolando la sintassi, slogando la grammatica e facendo esplodere l’ortografia in un gran finale che trova il suo corrispettivo istituzionale nella «Lettera di dissoluzione» della sua scuola redatta nel 1980, anno precedente la sua morte.

Questa drammatica scelta ha impedito che si cristallizzasse «un’ortodossia lacaniana» e ha consentito la disseminazione del suo pensiero in molte scuole di psicoanalisi, che si richiamano al suo insegnamento clinico, e in un contesto culturale molto ampio. Nell’ultimo decennio, in particolare, la riflessione di Lacan è stata riscoperta da filosofi, studiosi di cinema e d’arte che usano criticamente la sua teoria della soggettività e trovano alimento nella sua riflessione estetica. E proprio a questa Lacan renaissance sono dedicati gli Altri scritti.