Dopo il “modello Veneto” sui tamponi, ora è il Lazio a fare da apripista nel potenziamento della rete diagnostica. La regione è stata la prima ad adottare i test antigenici rapidi: comportano lo stesso prelievo dei tamponi molecolari ma – puntando a riconoscere le abbondanti proteine virali «Spike» – forniscono il risultato in mezz’ora. Dopo l’ok dell’Istituto Spallanzani e la sperimentazione in porti e aeroporti, è di ieri l’accordo con 135 laboratori privati del Lazio che potranno erogare, al prezzo calmierato di 22 euro, il test antigenico. Alto il rischio di speculazioni: «Già partita la prima diffida ad una struttura che ha triplicato il prezzo», avverte l’Unità di crisi della regione.

Sempre nel Lazio, per i medici di base oggi è l’ultimo giorno buono per dichiarare la propria disponibilità a effettuare i tamponi rapidi presso il proprio studio. I medici aderiranno su base volontaria ma tra mille difficoltà: gestire l’afflusso di pazienti a rischio negli studi dei medici di base è spesso impossibile. Così molti non stanno aderendo all’iniziativa. «Chiunque eseguirà i tamponi dovrà poterlo fare in luoghi appropriati e sicuri, dotato di tutti i necessari dispositivi di protezione individuale», spiega Giorgio Barbieri, segretario della Fp-Cgil dei medici di base, che invoca «una profonda rivisitazione» della medicina territoriale. «I medici non possono più lavorare da soli, in studi privati – ammette Barbieri – ma dovranno operare in contesti condivisi e multiprofessionali come distretti e case della salute, in cui siano protetti loro e i cittadini».

Aumentando la disponibilità dei test rapidi privati, c’è anche il rischio che i test antigenici siano utilizzati al posto del tampone molecolare, per aggirare le code. Il test però è troppo impreciso per effettuare diagnosi e il tampone molecolare è tuttora insostituibile.

L’esempio del Lazio farà scuola in Italia, nel bene e nel male e con un po’ di ritardo. Il Commissario straordinario Domenico Arcuri – e con lui il premier Giuseppe Conte – aveva preannunciato l’arrivo di 5 milioni di test rapidi da distribuire alle regioni. Ma al momento non si conosce nemmeno il nome di chi li produrrà, né i protocolli con cui verranno utilizzati. Perciò il caos-tamponi proseguirà ancora per un po’.

Anche per chi deve pianificare la risposta alla pandemia, orientarsi tra le varie tipologie di test può essere complicato. Il «golden standard» rimane il tampone molecolare, che misura direttamente la presenza del Dna virale in un campione naso-faringeo. Poi ci sono i test sierologici che rilevano gli anticorpi prodotti dall’organismo umano contro il virus. Dato che gli anticorpi si sviluppano alcune settimane dopo l’infezione, il «sierologico» serve solo a misurare la percentuale di popolazione entrata in contatto con il virus.

Attesi anche i test salivari: ne esistono sia di molecolari che di antigenici, e si analizzano come i tamponi naso-faringei. Dato che prelevare la saliva è una procedura meno invasiva e fastidiosa, sono adatti a screening ripetuti a breve distanza. Purtroppo, finora non hanno dato risultati soddisfacenti in termini di accuratezza.