Un ufficio nella redazione di un quotidiano svizzero: uno spazio di lavoro abitato da mobilia ordinaria, comuni articoli di cancelleria e pochi altri vezzi personali, al massimo una foto, o una tazza. Vengono qui ogni giorno da cinque anni Patrick Claudet e Laurent Schlittler, colleghi ed entrambi scrittori (il primo è sceneggiatore, il secondo romanziere), condividono anche una passione smisurata per la musica che ascoltano sempre mentre lavorano. Un giorno uno dei due scatta un instagram (che meraviglia è talvolta la tecnologia) e si trovano durante la pausa caffè a pensare che quella foto- precisamente un radiatore, un banale dettaglio d’ambiente- sarebbe un’eccellente copertina per un disco.

Per noia (noia estrosa e creativa, sia detto) iniziano a fotografare quello che li circonda con l’idea che ogni istantanea potrebbe avere la stessa sorte della prima, ovvero divenire la copertina di un album immaginario. E, come spesso succede giocando, sul corridoio dell’immaginazione che percorrono, si aprono improvvisamente innumerevoli porte. Non c’è album senza titolo, si dicono, ma soprattutto, non vi è opera senza autore. Basta piazzare due scatole sulla scrivania piene di nomi l’una e di titoli l’altra e associarli liberamente ad un’immagine. A questo punto mancano solo le canzoni per avere dischi, che non esistono, di autori fittizi, fatti di tracce mai composte né suonate. Ma a quello può provvedere l’esperienza di scrittori: di questi dischi si può comunque parlare, si possono raccontare. Nasce una piattaforma web, che diviene presto un libro, intitolato “The LP collection. Le trésors cachés de la musique underground”, un tributo, come spiegano gli autori nell’introduzione, a quelle band che nell’era della digitalizzazione decidono comunque di affidare la loro musica a circuiti estranei alla produzione di massa, per salvaguardarne l’autenticità. Una raccolta, quella di “tesori nascosti” che è sì basata sulle preferenze di chi scrive, ma che tenta di rendere la musica raccontata accessibile a tutti. Siamo evidentemente di fronte a una sofisticata finzione letteraria.

Come vi siete immaginati di scrivere su musica che non era mai stata composta né suonata?

Patrick Claudet e Lawrence Schlittler: “Siamo grandi appassionati di musica e grandi consumatori. Come tali, da sempre leggiamo recensioni e conosciamo bene l’emozione di stringere tra le mani l’ultima novità del tuo artista preferito, o quel disco che pensavi introvabile. Quando, per puro slancio di evasione dalla quotidianità dell’ufficio, abbiamo iniziato a fotografare quelle che ci potevano sembrare buone copertine, ci siamo spinti un po’ più avanti e abbiamo immaginato e descritto il disco che ci sarebbe piaciuto ascoltare. È un modo per riportare la musica all’immaginazione e questi album sono davvero i migliori: sono perfetti (nella loro inesistenza).”

Dopo aver individuato le copertine, come avete assegnato ad ognuna un titolo ed un contenuto?

P.C. e L.S. “In modo casuale: abbiamo messo le foto in una grande scatola, e lo stesso abbiam fatto con i nomi degli artisti e i titoli. Non ci può essere errore poiché tutto ciò che è casuale è opportuno. Qualsiasi cosa poteva divenire musica e le recensioni scritte sono state solo un corollario a quello che avevamo messo insieme in modo aleatorio.”

Un gioco in bilico tra poesia visiva brossiana e creazione letteraria surrealista con cui gli autori si abbandonano a una libera associazione tra immagini e parole dando vita a recensioni che, grazie a un’elegante disinvoltura gergale, suggeriscono toni e musicalità, influenze e tributi, e si spingono fino a valicare quel confine tecnico che divide la critica dal gossip, soffermandosi talvolta su aneddoti o tratti personali degli interpreti e dotando le opere descritte di (una per niente scontata) verosimiglianza. È probabilmente per questo che i musicisti se ne appropriano volentieri, trasformando i sentieri sonori immaginati e proposti in pseudocover, ovvero in versioni interpretate di un’idea musicale solo descritta.

Il libro è una sfilata di nomi, titoli e generi che convivono nella cultura discografica degli autori: dal post punk al metal, dal pop rock alla world music, fino ad arrivare al dubstep, all’elettronica e alla dancehall.

C’è poi il countryman tedesco, Scotty Pone, il cui album “Fiumicino” è stato interpretato da dieci band livornesi proprio pochi giorni fa. È successo quando Claudet e Schlittler sono stati individuati da Riccardo Bargellini, responsabile della sezione arti visive del Premio Ciampi, come vincitori del premio l’Altrarte: Bargellini li ha contattati proponendoli di indicare un album tra quelli recensiti per poterlo rendere vivo, ossia farlo suonare a musicisti reali e li ha poi invitati a Livorno, dove chi scrive li ha intervistati. Scotty Pone è tedesco, ma il suo disco è stato composto in Italia, sulla riviera amalfitana, e gli svizzeri hanno pensato che fosse perfetto per l’occasione. Le band livornesi hanno composto e interpretato dal vivo durante la presentazione del progetto le tracce di “Fiumicino”, che verrà lanciato in ottobre durante le serate di premiazione del Ciampi.

“Le nostre canzoni sono state eseguite da artisti francesi, tedeschi e giapponesi, ma non era mai successo che ci venisse proposto di indicare uno degli album per realizzarlo interamente. Siamo ovviamente onorati da tanta attenzione e felicissimi di poter essere qui, in Toscana, in un giardino pieno di musicisti che interpretano canzoni che noi abbiamo solo immaginato, invece che nel nostro ufficio di Losanna” dicono sorridenti.

Il progetto quindi, si espande. Dalle recensioni, ovvero da uno stato di sola descrizione, la musica prende vita compiendo un cammino inverso da quello usuale, ma non per questo artisticamente meno incisivo. Anzi. Da arte in assenza, le descrizioni si trasformano in accordi, strofe e melodie, in un progetto del tutto aperto, in cui la copia convalida l’originale, e dove paradossalmente le rappresentazioni, potenzialmente infinite, dotano le parole e il lavoro di scrittura della compianta aura benjaminiana. Se è vero che da qualche anno il mondo dell’arte si è abituato alla scenificazione del falso e al costante ribaltamento delle categorie di autorialità e autenticità- pensiamo a Banksy, lo street artist del quale non conosciamo l’identità e a “Exit through the gift shop”, il fittizio documentario sulla sua biografia, ma anche alle false teste di Modì, inizialmente ritenute autentiche, gettate nei fossi di Livorno esattamente 30 anni fa da tre studenti d’arte, o, arrivando alla musica, la proposta di Beck che con il non-disco Song Reader ha messo a disposizione di fans e interpreti un album di soli spartiti da suonare- il progetto LP collection ha l’innegabile merito di coniugare un’analisi reale (la recensione) con un’opera fittizia (il disco), e soprattutto di offrire a un numero potenzialmente infinito di artisti di appropriarsene.

“Per i musicisti è molto stimolante confrontarsi con qualcosa di nuovo, partire da uno spunto per comporre, in questo caso dal titolo di una canzone, o dell’album in cui è contenuta e, in ultima analisi, dalla recensione-spiegano gli autori. Per noi, c’è la soddisfazione di vedere come un’aspirazione che da anni ci portiamo dietro, diventa realtà: anche senza saper suonare, adesso siamo musicisti! In quest’ottica, la performance live è per noi un lusso che non ci saremmo mai immaginati.” 

Patrick e Laurent ammettono che l’entusiasmo dei musicisti non pare aver contagiato i colleghi critici, e che alcuni di loro sono addirittura sembrati un po’ infastiditi da tutta l’operazione.

“Il progetto nasce da un gioco-spiegano- pertanto non era nostra intenzione offendere nessuno. La proposta è in fondo quella di “leggere” la musica e immaginarsela. Forse i nostri detrattori non si sono mai preoccupati di parlare di un prodotto che non contempla il consumo”.

C’è quindi la volontà intrinseca al vostro progetto, di criticare il sistema di produzione di massa che riguarda anche la musica?

P.C. e L. S. “Tutto è iniziato come un gioco irriverente, non da una volontà di denuncia dei meccanismi capitalisti del mercato musicale. È vero però che come consumatori in passato ci siamo spesso sentiti frustrati perché era pressoché impossibile trovare materiale di artisti fuori dal circuito mainstream. In questo modo non solo abbiamo reso tributo a coloro che musicalmente si muovono nell’ombra, ma ci siamo appassionati a creazioni che “vivono” completamente fuori da questo meccanismo.”

L’obiettivo ironicamente auspicato dagli autori, ovvero quello di sollevare il sipario su creazioni musicali la cui forza individuale è inversamente proporzionale alla loro fama e sensibilizzare il pubblico sulla fragilità di queste produzioni, è ampiamente soddisfatto. Chissà che qualche star internazionale non decida di percorrere lo stesso cammino, dando il proprio contributo alla collezione e consacrando alla fama la sottile e ingegnosa beffa di questi collezionatori d’oltralpe.