Una struttura occulta e riservatissima, costituita da «invisibili» che interagisce con il mondo dei «visibili». Una struttura segreta, pienamente decisionale, che costruisce in maniera manageriale gli uomini da infiltrare nel mondo istituzionale, partendo dai ruoli politici minori per farli poi giungere ai vertici della politica nazionale ed europea. Si parte dal piccolo ruolo di consigliere comunale, per poi passare in Regione, a Montecitorio, Palazzo Madama fino al Parlamento europeo. Uomini arruolati e addestrati con un compito preciso da portare a termine: sostenere la strategia programmatica criminale che vuol alterare l’equilibrio democratico del paese orientando le scelte economiche verso la realizzazione dei propri interessi. E tra i «visibili» ci sarebbe stato non solo il senatore di Forza Italia, Antonio Caridi, già coinvolto nell’inchiesta Mammasantissima (e destinatario di un ordine di arresto) ma anche il deputato Giuseppe Galati, detto Pino, notabile democristiano di Lamezia, con un passato da sottosegretario allo Sviluppo in quota Udc. Oggi è il capo indiscusso dei verdiniani in Calabria.

La Dda di Reggio ne ha chiesto ieri l’arresto con l’accusa di corruzione aggravata dalle modalità mafiose. Insieme a Caridi, sarebbe stato più volte sorpreso a chiacchierare con il boss Mommo Raso, oggi deceduto, che da lui pretendeva una mano per sbloccare i lavori nel parco naturale Decima Malafede, a Roma, eseguiti in zona vincolata. In più, Raso avrebbe chiesto a Galati una mano per ramazzare appalti e lavori per il trasporto pubblico e per lo smaltimento rifiuti nella capitale. Ma il gip ha bocciato la richiesta perché non ha ritenuto sussistente un grave quadro indiziario. Nella carte vi era anche un nuovo mandato d’arresto per il senatore Caridi.

Il giudice per le indagini preliminari, in questo caso, ha ritenuto che le accuse fossero già assorbite dall’ordinanza emessa nell’operazione Mammasantissima. «Caridi – scrivono i magistrati- come i broker della droga presta i suoi servigi a tutti i clan e tutti i clan sollecitati rispondono all’appello quando si tratta di sostenere il politico alle elezioni».

L’indagine Alchemia, condotta ieri all’alba in Liguria, Calabria, Lazio, Piemonte, ha messo a segno 42 misure cautelari (34 in carcere, 6 ai domiciliari e 2 interdittive dall’esercizio di un pubblico ufficio) a carico di personaggi affiliati e contigui alle cosche Raso-Gullace-Albanese di Cittanova e Parrello-Gagliostro di Palmi, indagati, a vario titolo, per i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione, intestazione fittizia di beni. Le indagini avrebbero svelato l’interesse della ‘ndrangheta per diversi settori strategici, come il movimento-terra, l’edilizia, l’import-export di prodotti alimentari, la gestione di sale giochi e di piattaforme di scommesse on line, la lavorazione dei marmi, gli autotrasporti, lo smaltimento e il trasporto di rifiuti speciali, con l’individuazione di società intestate a prestanome.

Gli affiliati alla cosca cittanovese operanti in Liguria avrebbero confermato il loro profilo di pericolosità e di solido collegamento con la casa madre, evidenziando ancora una volta il rilevante ruolo della Liguria nelle dinamiche e negli interessi della ‘ndrangheta al Nord.
Il cuore del business erano i treni ad alta velocità. Gli inquirenti hanno scoperchiato le infiltrazioni delle ‘ndrine al fine di aggiudicarsi i subappalti legati alla Terzo Valico dei Giovi. Allo scopo di agevolare l’inizio dei lavori le cosche avrebbero anche foraggiato i comitati Sì Tav.

Una piovra con testa a Cittanova e tentacoli imprenditoriali in tutto il nord. I summit si svolgevano nella Piana di Gioia Tauro e da lì si diramavano gli ordini dei boss per infiltrare i subappalti della linea ferroviaria che collega Milano a Genova. Nell’inchiesta è indagato anche il vicepresidente del consiglio regionale calabrese, Francesco D’Agostino (Pd), eletto nel 2014 con 9942 voti nella lista Oliverio Presidente, messa in piedi proprio dal presidente dem.D’Agostino, «il re dello Stoccafisso», titolare dell’azienda Stocco & Stocco di Cittanova, risulta «in passato essere stato oggetto di attenzione degli investigatori in quanto indicato quale uomo di fiducia dei Raso-Albanese”.Negli anni Ottanta era stato arrestato per detenzione abusiva di armi. Per i magistrati della Dda è «una delle pedine di cui si servivano i clan per portare a termine i loro affari».