Abbandonato in fretta lo «stupore» iniziale, la replica di Mario Monti alle dimissioni «inconsuete» del suo ormai ex ministro degli Esteri è di quelle al veleno. Le parole pronunciate martedì da Giulio Terzi alla Camera, dice il premier, servono in realtà «a conseguire altri risultati che nei prossimi tempi diventeranno più evidenti». L’accusa, neanche tanto velata, è che l’improvvisa decisione di lasciare un governo già dimissionario altro non sia stato che un modo per conquistarsi un posto in un futuro esecutivo di centrodestra. Accusa che in serata Terzi smentisce, ma che nell’aula di Montecitorio prima, e in quella del Senato poi, rimbalza per tutta il pomeriggio.

Intervenendo in parlamento per rispondere sulla vicenda dei due marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre e sull’abbandono di Terzi, il premier lascia poco spazio alla diplomazia. Giusto il tempo per un frettoloso e chissà quanto sincero ringraziamento al titolare della Farnesina per il lavoro svolto, e ben presto le parole si trasformano in coltelli. Sì perché l’addio di Terzi non incrina solo la credibilità del governo tecnico – già abbastanza compromessa dall’altalena di scelte che ha accompagnato la vicenda dei due fucilieri del battaglione San Marco – ma rappresenta uno sgambetto pericolosissimo sul futuro politico di Monti e, indirettamente, sulle possibilità di Bersani di dar vita a un governo.

Da qui i sospetti, che già martedì sera serpeggiavano tra i montiani, sulla limpidezza del gesto di Terzi.
Quando alle 15 prende la parola, Monti interviene in un’aula in parte deserta, con gran parte dei banchi del Pdl vuoti. Sulla vicenda dei marò la ricostruzione del premier collima quasi in tutto con quella di Terzi. Ricorda come il 20 e il 21 marzo siano state convocate due riunioni del Comitato interministeriale per la sicurezza per fare il punto dopo l’aggravarsi del rapporti con Delhi seguiti alla decisione di non rimandare in India i marò. In quella riunione – ricorda – vennero riscontrati «rischi di isolamento dell’Italia», ma anche di possibili ritorsioni da parte di paesi Brics (Brasile, Russia , India, Cina e Sudafrica) in una vertice dei quali, dice, si era «iniziata a prendere in considerazione un’opzione di misure condivise nei confronti dell’Italia».

Ma Monti sottolinea anche la necessità di rivedere la legislazione sul contrasto alla pirateria, specie per quanto riguarda la catena di comando delle operazioni.
Dove però le strade di Monti e Terzi divergono completamente, è quando si comincia a parlare dei dubbi che sarebbero stati espressi dal responsabile della Farnesina sulle scelte del governo. A Monti quei dubbi non risultano. Anzi Terzi, lascia intendere, ha sempre condiviso ogni singola presa di posizione, al punto da anticipare la decisione di trattenere in patria i due marò «in precipitose dichiarazioni stampa». Infine critica l’ex ministro «per ciò che ha fatto e per ciò che non ha fatto»: ovvero per essersi dimesso senza preannunciarlo e, prima, per non aver mai manifestato il suo dissenso, al limite arrivando a minacciare le dimissioni pur di convincere gli altri componenti del governo a cambiare posizione. Da qui l’accusa di aver organizzato tutto in vista di un futuro incarico politico.

«Nessuna finalità personale», afferma in serata Terzi che nega anche di aver mai anticipato notizie alla stampa. «Le mie riserve al rientro in India di Latorre e Girone le avevo espresse in tutte le sedi di governo, anche formalmente», dice l’ex ministro. Un’altra storia, appunto.