Ieri pomeriggio un funzionario russo in servizio all’ambasciata di Kabul si è preso la briga di raccontare all’agenzia statale Tass un particolare interessante sulle ultime ore in città dell’ex presidente Ashraf Ghani.

«Al momento di partire sono arrivate quattro auto piene di denaro contante. Hanno cercato di caricare tutto sul suo elicottero, ma non c’era abbastanza spazio a bordo, e così sono stati costretti ad abbandonare i sacchi sulla pista».

La storia dei contanti circolava a dire il vero da domenica sui social network, ma è chiaro che parlandone con Tass i diplomatici russi hanno dato al dettaglio una sorta di dignità, portandolo così nella versione ufficiale degli eventi in vista dei colloqui con i leader talebani.

Il collasso del governo afghano, ha detto lo stesso funzionario, «si spiega proprio con il modo in cui Ghani è fuggito dal paese». Un riferimento alle accuse di corruzione che aleggiano su Kabul dall’inizio dell’intervento Nato e che gli interlocutori talebani gradiranno vedere riconosciuto.

CON LORO IL CAPO del Cremlino, Vladimir Putin, avrebbe quindi deciso di aprire il dialogo, nonostante i nuovi padroni dell’Afghanistan siano considerati un’organizzazione terroristica in Russia al pari di Isis, al Nusra e Pravy Sektor, tanto per citarne alcuni.

Aperta resterà senz’altro l’ambasciata a Kabul: già quest’oggi il capo della missione diplomatica, Dmitry Zhirnov, riceverà i rappresentanti talebani per un confronto sulle relazioni fra i due paesi.

«Ci hanno promesso un Afghanistan civilizzato», ha detto ieri parlando alla radio Eco di Mosca. Zhirnov ha 44 anni, è al primo incarico da ambasciatore e nel suo studio potrebbe trovarsi davanti un mujahiddin che ha combattuto contro i sovietici quando lui era alle scuole elementari.

«I TALEBANI HANNO messo in sicurezza il perimetro esterno dell’edificio e ci hanno garantito che possiamo lavorare in pace», ha commentato da Mosca l’inviato del Cremlino per l’Afghanistan, Zamìr Kabùlov, il cui nome basta e avanza a spiegare il grado di confidenza con cui la diplomazia russa si sta muovendo in queste ore.

Per questo non deve sorprendere che nel momento di maggiore caos per gli Stati uniti e per le cancellerie europee dall’11 settembre 2001, con i talebani alla periferia di Kabul e gli elicotteri americani in volo sulla città, i russi fossero gli unici impegnati in una azione diplomatica quantomeno razionale.

Alla Duma la Commissione Difesa si è riunita, domenica, e ha chiesto che l’Afghanistan passasse sotto il controllo del Consiglio di sicurezza dell’Onu; un vertice di emergenza al Palazzo di Vetro l’ha chiesto nel giro di poche ore il ministero degli Esteri. Tutto questo mentre 2.500 specialisti dell’esercito chiudevano in Tajikistan una imponente esercitazione militare a venti chilometri dal confine afghano.

IL CREMLINO HA FATTO capire di non avere alcuna fretta di riconoscere il governo dei talebani. Ma la loro ascesa permette ai falchi valutazioni radicali sul piano politico.

«La storia oggi non si fa a Bruxelles, a Parigi o Londra, bensì a Kabul, e senza neanche consultare i vecchi centri di potere», ha detto Alexei Pushkov, un opinionista tenuto in grande considerazione ai piani alti di Mosca. Per l’ambasciata russa in Gran Bretagna, gli eventi delle ultime ore mostrano che il tempo dell’egemonia americana è finito, a vantaggio di Russia e Cina.

Un segno ulteriore di questa tendenza i russi se lo aspettano nel conflitto in Ucraina e nelle trattative sul Donbass. Ieri il sito internet di Pravda ha dato grande rilievo alle parole di Yuri Romanenko, il direttore dei programmi politici all’Istituto ucraino per il futuro, voluto dal presidente, Volodymyr Zelensky, per stabilire le priorità nazionali dei prossimi dieci anni.

Romanenko avrebbe prima criticato gli Stati uniti per il loro eccessivo impegno a favore dell’Afghanistan («a quanto pare nel loro caso né l’assenza di democrazia, né la corruzione, né il pericolo che le armi finissero ai talebani hanno ostacolato le forniture militari»), per sollevare, poi, dubbi sui rischi di una alleanza con Washington («L’Afghanistan rappresenta una lezione per tutti i popoli: gli americani possono aiutarti, ma a patto di mostrare la volontà di combattere»).