La campagna per convincere gli ungheresi è cominciata e dai toni si capisce che non risparmierà niente e nessuno. «Lo sapevate? Gli attentati di Parigi sono stati compiuti da immigrati». E ancora: «Gli abusi contro le donne sono aumentati in maniera esponenziale dopo l’inizio dell’ondata migratoria in Europa». L’equazione è fin troppo facile: se sei un migrante o un richiedente asilo allora sei anche un possibile terrorista o stupratore e quindi non puoi stare tra di noi.
Va giù duro Viktor Orbán per convincere i suoi connazionali su come dovranno votare il prossimo 2 ottobre quando, per la prima volta in Europa, gli ungheresi saranno chiamati a esprimersi con un referendum sulla politica migratoria dell’Unione europea. E in particolare se accettare o meno il sistema di quote obbligatorie proposto dalla Commissione Ue ma duramente contrastato non solo dall’Ungheria, ma anche dalla Slovacchia.
Anche se mancano ancora più di due mesi al voto, il premier ungherese è determinato a non perdere tempo. Gli slogan prescelti per la campagna referendaria fanno leva sui peggiori incubi legati all’immigrazione e alimentati generalizzando episodi realmente accaduti. Come il fatto che tra gli attentatori che hanno insanguinato Parigi c’erano terroristi arrivati in Europa mischiati all’ondata di profughi del 2015, ma non erano profughi. Ma anche la terribile notte di violenze contro le donne che si è verificata a Colonia lo scorso Capodanno e che vide tra gli autori numerosi immigrati.
Basta questo per dire che il milione di uomini, donne e bambini che hanno attraversato l’Europa l’anno scorso sono tutti potenziali terroristi e stupratori? Ma Orbán soffia anche su un’altra paura da sempre legata all’immigrazione: quella di un’ipotetica invasione. «Soltanto in Libia un milione di rifugiati aspettano di arrivare in Europa», afferma un altro degli slogan che, da ieri fino al 2 ottobre, invaderanno strade e piazze di tutta l’Ungheria.
Pur non avendo praticamente immigrati (meno di 7.000 secondo Eurostat, su una popolazione che sfiora i 10 milioni) l’Ungheria si prepara quindi a una campagna referendaria infuocata. Atto finale di una serie di provvedimenti repressivi nei confronti dei profughi che sempre più spesso e – denunciano molte organizzazioni internazionali – in maniera violenta respinge verso la Serbia. Recentemente il parlamento ha approvato una serie di leggi per permettere alla polizia di estendere il controlli al confine fino a un’area di 8 chilometri all’interno del territorio ungherese. Ogni straniero sorpreso in questa area viene preso e respinto oltre la rete di metallo e filo spinato che segna il confine con la Serbia. Una terra di nessuno dove i rifugiati sono costretti a sostare «senza servizi adeguati», denuncia l’Unhcr, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati secondo il quale non mancherebbero i casi di abusi e violenza verso le persone fermate. «I racconti (dei testimoni, ndr) includono casi di morsi da parte di cani della polizia lasciati senza guinzaglio, l’utilizzo di spray al peperoncino e percosse», afferma l’organizzazione che ha chiesto alle autorità ungheresi di aprire un’indagine. A questi episodi si aggiunge poi la lentezza con cui Budapest accetta le richieste di asilo: solo 30 al giorno, uno stillicidio che come conseguenza ha provocato l’affollamento al confine di centinaia di rifugiati costretti a vivere in condizioni critiche.
Pur essendo tra i paesi che ricevono più aiuti economici da Bruxelles, e pur dicendosi pronta – come ha fatto di recente il ministro dell’economia Mihaly Varga – ad entrare nell’eurozona entro il 2020, l’Ungheria pretende di non essere vincolata agli impegni comunitari. Motivo per il cui Orbán non si fa scrupolo di utilizzare il nazionalismo: nessuno – ha più volte detto il premier- può dirci con chi dobbiamo convivere.