La conferma ufficiale è arrivata solo ieri, dopo cinque giorni di incertezze e di attesa: i sindaci di Diyarbakir, Gültan Kisanak e Firat Anli , sono stati arrestati dalla polizia turca con l’accusa di essere «sostenitori dell’organizzazione terroristica Pkk».

Nelle loro città, per parità di genere i curdi affiancano i sindaci eletti a un co-sindaco dell’altro sesso. In questo caso Gültan Kisanak è la sindaca eletta e Firat Anli il co-sindaco. Kisanak è stata arrestata mercoledì all’aeroporto di Diyarbakir di ritorno da Ankara, lo stesso giorno Anli è stato arrestato nella sua casa nel centro di Diyarbakir. Secondo un comunicato stampa del capo dell’ufficio del Pubblico ministero, Kisanak e Anli sono stati arrestati per i loro comunicati, emessi – dicono – nel rispetto del loro diritto alla libertà di parola. Fiancheggiatori della formazione terroristica Pkk, è invece l’accusa .

Capitale simbolica del popolo curdo, Diyarbakir è stata uno dei principali teatri del conflitto armato tra Pkk e stato turco. Dall’agosto del 2015, numerose volte è stato proclamato il coprifuoco sulla città e i villaggi circostanti, centinaia di civili sono stati uccisi, il centro storico di Suriçi – che risale a cinquemila anni fa – è stato bombardato e la metà della città totalmente distrutta. Il coprifuoco continua sulla città vecchia di Suriçi. Oggi è il 333 giorno di coprifuoco.
Per la città gli ultimi arresti sono stati uno choc. In seguito alla cattura dei sindaci, nella regione curda sono stati tagliati tutti i collegamenti Internet: 6 milioni di persone sono state isolate dal mondo digitale negli ultimi cinque giorni.

Perché il governo turco ha spento il web alla regione curda? Ankara sta cercando di impedire la mobilitazione della popolazione attraverso i social media. I curdi sono stati molto colpiti dall’arresto dei co-sindaci. Vorrebbero protestare. Ma con la «legge di emergenza» il governo aveva già proibito ogni tipo di protesta, concentramento e marce. Ed ora il blackout informatico finisce il lavoro e mira a silenziare le voci curde, per impedire o limitare l’informazione dell’opinione pubblica nazionale e internazionale sugli sviluppi della situazione nella regione.
Nei due giorni «oscurati» gli edifici della municipalità sono stati completamente isolati da sbarramenti della polizia, carri armati e migliaia di poliziotti. Anche allo staff della municipalità è stato impedito di entrare negli edifici.

Il primo giorno dopo gli arresti, centinaia di persone si sono radunate di fronte al municipio. La polizia ha cercato di impedirlo con continui lanci di gas lacrimogeni e l’uso di cannoni ad acqua. Gli agenti non si sono limitati a gas e acqua: hanno puntato i fucili contro i manifestanti. Molte persone sono state ferite. Alla fine della giornata, 37 manifestanti – compresi alcuni politici curdi – sono stati arrestati.

Il secondo giorno, le persone che si erano radunate davanti al municipio erano diventate migliaia. Una vera (e vietatissima) manifestazione, durante la quale un esponente dell’Hdp, Selahattin Demirtas, ha parlato alla folla. Il vicepresidente del partito della sinistra curda ha detto che la popolazione non accetta l’arresto dei suoi co-sindaci e ha incoraggiato a continuare con la mobilitazione pacifica finché i due non saranno rilasciati. Ora la protesta sta dilagando il tutto il sud dell’Anatolia.

Le città curde sono state testimoni di oltraggi, assassinii e bombardamenti durante tutto l’anno. L’11 settembre, 27 sindaci eletti sono stati sostituiti da funzionari nominati dallo stato, 11.285 insegnanti curdi sono stati licenziati, centinaia di politici curdi e militanti sono stati arrestati. Quasi tutti i media curdi, compreso il canale tv per i bambini curdi, sono stati chiusi. Fino ad oggi, 27 sindaci eletti sono ancora in prigione in Turchia, mentre altri 43 sono stati rilasciati.

L’arresto dei co-sindaci di Diyarbakir rappresenta una fase importante in un processo che dura da un anno.
Il governo turco ha bloccato al popolo curdo tutti i contatti politici in Turchia. Con questa politica, Ankara sta mandando un messaggio preciso: «Non c’è un mezzo legale attraverso cui il popolo curdo possa conquistare i suoi diritti. Non c’è posto per i curdi nel paese».

Ma i curdi sono parte di una società molto organizzata e resistente, che ha lottato per i propri diritti per oltre un secolo. Continueranno la loro lotta. Invece chi scrive, tagliata fuori dal mondo, non può fare altro che sperare che qualcuno possa leggere.

* Giornalista kurda di T24